Il 2 Febbraio scorso presso il Rialtosantantambrogio a Roma, FestArte ha presentato l’evento l’Arte della cura, un progetto artistico, attraverso il quale l’artista Francesca Crocetti, ha indagato il rapporto con la medicina e la malattia, con una performance di straordinaria sensibilità, installazioni interattive e foto. Trasformando odori ed immagini legati al mondo ospedaliero in sensazione di benessere ed attimi di intensa e gioiosa riflessione. Il live set del musicista polistrumentista da’wey, (aka Davide Severi), accompagnato dai video di oni_me (Gianluca Magurno), si è perfettamente rapportato ai temi del progetto artistico, creando tracce musicali dagli intenti terapeutici e dagli effetti riabilitativi. Quattro i brani appositamente composti per l’Arte della cura ed eseguiti in un live che ha visto il susseguirsi, in un flusso musicale di grande fascino e suggestione, sonorità create dalla commistione di strumenti in prevalenza provenienti dalla cultura orientale, con ritmi rock e battiti elettronici. Protagonista della prima composizione è stato l‘hang uno strumento a percussione, dal suono melodico e celestiale, a tratti mistico, ma gioioso. L’ideale per esprimere in note, il concetto di ‘riabilitazione’. All’iniziale improvvisazione del’hang si sono aggiunti, intersecandosi armonicamente vari strumenti tra cui una percussioni, un basso e due chitarre, che hanno accompagnato il ‘gioco’ condotto dall’ hang, con le sue brillanti vibrazioni. Sono invece le immagini create da ony_me ed ispirate alle pagine di antichi testi di anatomia umana, a legare insieme le trame del secondo pezzo intitolato ‘Leonardo’. Sul video batteri e scheletrini, si animano sulle note iniziali dei fiati, fino a farsi travolgere nella ritmata ed irrefrenabile miscela di rock e drum’n’bass. A seguire l’ispirazione compositiva di da’wey si sofferma sui ‘chimici’, le medicine che in molte situazioni rappresentano l’unica soluzione alla malattia. Sulla dialettica tra benessere e stati di allucinazione-alterazione prodotta dai farmaci, parte un trip vagamente lisergico del terzo brano, costellato da frasi di vecchi film, suoni sintetici, bassi profondi. Si procede sulla via della guarigione e sono il Giappone, l’immaginario di monti nebbiosi e di bambù, il santoor (strumento indiano a corde) il bansoori (flauto indiano). shakuhachi (il flauto giapponese), a la seguirne il decorso con dolcezza ed introspezione. Stato di enfasi, ritmo lento e costante di tamburi africani, ritmica jungle e, sul finale, un magico acquietamento. Ora va tutto bene. Usciamo dal nostro decorso totalmente purificati e pronti per proseguire il nostro percorso emozionale. Arte e musica: la cura. Senza effetti collaterali, se non quelli percepiti dai nostri sensi ammaliati e scevri da paure. E anche se solo per una sera, distanti da qualsiasi pensiero di sofferenza e dolore.
(Manuela Contino)