Sabato 7
Aprono il Duna Jam 2008 gli Intellectuals, trio che reinterpreta il garage teen dei ’60 in maniera delirante e minimale. Chitarra fuzzatissima, batteria ridotta all’osso e synth come un prelibato contorno che s’attacca al ritmo come il muschio a una roccia. Dopo una partenza in sordina recuperano con pezzi come Miss Johnny e We Are Cells, ma l’esibizione continua ad apparire un po’ smorzata e sottotono. Terminano la prima serata i Color Haze con una psichedelia heavy che viaggia su binari lisergici. Libera da schemi, la loro musica si rigenera continuamente costruendo architetture sonore di impressionante impatto.
Domenica 8
Si prosegue con i Rock’n’Roll Adventure Kids, duo californiano anch’esso essenziale e punk alla radice. Pezzi spediti senza tanti fronzoli. Un rock’n’roll sparato a mille. Fichissimi. Storia diversa per i Baby Woodroose, psichedelia californiana dei sessanta, Seeds e Love in particolar modo. I danesi ce la mettono tutta, Lorenzo, il frontman della band, suda e urla come un disperato. Una prova superba.
Lunedì 9
Il lunedì facciamo una gradevole scoperta, i Dÿse. Duo tedesco che mette a macina il metal e il rock. Una volta questo si definiva crossover o numetal. Danno vita a un potente mathcore preciso e devastante. Stop and go improvvisi e una manciata di riff ripetitivi e implacabili come una cascata. Fratture ritmiche e controtempi sono il loro marchio di fabbrica. Solo in due hanno sciorinato una serie di pezzi che parevano una mandria di elefanti inferociti. Questi passano la parola ai The Staggers dall’Austria che abbiamo trovato sinceramente pedanti. Farfisa e chitarre fuzzate lavorano per creare un beat vivace e semplice. Echi dei Tonto and The Renegades e Chesterfield Kings, roba che ricorda i b-movie. Attaccati a una fede riconoscibilissima, i The Staggers propongono un repertorio scanzonato e senza nessuna rilettura, e di questi tempi non c’è tanto da essere allegri.
Martedì 10
Altre scoperte felici in questa serata. I John Mcasskill dal Lussemburgo: un suono spigoloso e flessibile, pieno di risvolti. Una ritmica che non perde colpi, un basso funambolico e una voce femminile isterica e psicotica. Ottima formazione. Non possiamo dire lo stesso dei Tracker che suonano uno stoner dalle tinte psichedeliche abbastanza noioso. Un incredibile orgasmo invece per King Automatic: one man band dalla Francia che batte inesorabilmente tutti. Mette in loop una gran quantità di strumenti, manca poco che non metta anche se stesso, pesta coi piedi grancassa e rullante e suona una chitarra riverbero-fuzzatomica. Ritmi surf in salsa esotica, sixty beat inglese, blues primitivo con tanto di armonica tagliente. King Automatic è come uno sfregio sulla pelle, irresistibile.
Sabato 14
Bassa fedeltà per i Black Time da Londra. Cramps, Pagans e Electric Eels, il Midwest USA garage punk come fonte d’ispirazione massima. Voce agonizzante del chitarrista Lemmy Caution che colpisce come un pugno allo stomaco. Suoni stridenti, stradistorti ed elementari riff di chitarra. Emerge con forza il punk ’77 inglese. Non ci impressionano come ci saremmo aspettati e l’attenzione a volte sfuma. Non proprio una delusione, però…
Cambio di palco e ci ritroviamo di fronte nuovamente i John Mcasskill che confermano la loro attitudine al live.
Domenica 15
È Wasted Pido a chiudere il ciclo live organizzato dalla Duna Jam. One man band oltre il low-fi. Punk con venature rock’n’roll e una voce stridente e stonata. Il tutto suona un po’ dissonante e ogni cosa sembra andare per la sua strada. Discorso a parte per i Movie Star Junkies da Torino. Band composta da cinque elementi che suona una musica che definirei un garage dei Balcani, come se Nick cave fosse andato con i suoi Seeds a farsi una vacanza da quelle parti. I MSJ hanno inventato quasi qualcosa di nuovo vertendo su incursioni noise pur non uscendo dai dettami del garge dei ’60. Ipnotici e deraglianti sul palco. Una band strepitosa!
Si chiudono brillantemente gli otto giorni di live organizzati dal Duna Jam a Cagliari in cui più volte le band hanno omaggiato, dedicato e pagato un caro tributo al leggendario Bo Diddley, uno dei padri del Rock’n’roll, ricordando i suoi ritmi acidi e rumorosi, serrati e metallici del suo classico e mitico jungle sound.
(Tommaso Floris)