I Pete & The Pirates rientrano, secondo l’opinione dei music magazine più influenti, in quell’infima categoria che è denominata indie. Quando ho ascoltato il loro disco d’esordio, Little Death, mi è parso tutto tranne che indie. Quel “piccola morte” m’ha afferrato per la gola e m’ha tenuto stretto per mesi grazie al suo impeto e alla sua aggressività nirvaniana, a quelle suadenti e leggiadre melodie birdsiane e beatlesiane, a quegli intrecci vocali alla Simon & Garfunkel. Indie, ma in un senso che oramai è divenuto dispregiativo, lo sono i Matinèe. Un’orrida band, fotocopia dei Franz Ferdinand, che non avendo nulla di originale da proporre si limita ad emulare, in malo modo tra l’altro, altre formazione in voga in questi ultimi anni. Ci basta qualche pezzo a togliere il disturbo e ad aspettare fuori che i pagliacci lascino il palco. Pete e i pirati invece ratificano sul palco le buone qualità percepite nel disco, suonano tutti i pezzi del disco più qualche nuovo con la giusta dose di grinta e tecnica, senza alcuna sbavatura. Pete ci ricorda che la prima volta che giunsero a Roma, nello stesso club erano presenti solo cinque spettatori, quasi a rimarcare che i quattro ne hanno solcati di mari prima d’arrivare al porto. Un set veloce, preciso, chirurgico, forse questo l’unico nostro rammarico, non freddo, ma lievemente secco. Le trascinanti melodie hanno inevitabilmente infiammato tutti i gozoici indie kids venuti stasera e attirati forse più dall’hype che v’era attorno che dalla band stessa.
(Tommaso Floris)