Zoas è un termine preso in prestito dall’universo mitologico blakiano, dalle sue visioni e profezie pittorico-letterarie, dal suo modo surreale di comunicare rivoluzionarie idee politiche. Una citazione di peso, impegnativa, ma anche una dichiarazione di intenti.
La band messinese, in effetti, propone testi che nel loro piccolo lavorano proprio in questo in senso. Una scrittura visionaria con continui riferimenti alla realtà sociale attuale. Una gemmazione di immagini sorte dal disprezzo verso ciò che di marcio condiziona il vivere nel mondo e che sfocia in una narrazione distopica che trasmette nell’ascoltatore il medesimo senso di ripugnanza.
Così Babykilla si configura come un breve percorso attraverso gli aspetti peggiori dell’odierno vivere sociale, popolato da Trickster (imbroglioni), satirismo, governanti corrotti, giovani alla deriva. Si assiste inerti alla fine di vecchi nobili ideali ormai inattuali, trasportati dal flusso, senza porsi domande, assorti in karmacoma (come suggerito nella terza traccia, AAA), abbandonati al ritmo cadenzato e soporifero del potere. Il babykilla, raffigurato in copertina con capelli rossi e bretelle con scritte cirilliche, per ora affila soltanto la sua lama.
Musicalmente gli Zoas si esprimono al meglio in ambito live, dove hanno la possibilità di spingere al massimo ed esaltare il dinamismo dei propri brani. Per non perdere questa attitudine l’Ep è stato registrato live al The Cave Studio di Catania con un risultato sonoro piuttosto convincente.
La prima traccia, Burlesque, da cui è stato tratto un videoclip, è quella che più condensa (ed equilibra) le diverse anime che affollano il discorso musicale della band. Il brano si apre con una rapida chitarra funkeggiante à la Tom Morello, poi è un susseguirsi di cambi di tempo (e di lingua) che conduce a un finale piacevolmente concitato. Proseguendo nell’ascolto del disco vengon fuori sonorità stoner (Kings of pigs, Sexorama), ma l’attenzione è sempre più sulla dinamicità dei brani che sulla potenza e lo strumentale è sempre al servizio del cantato.
Le scelte musicali della band messinese attingono da più fonti, da più generi, senza soluzione di continuità, senza schemi. Il tutto suona familiare e allo stesso tempo estraneo. L’Ep forse paga questo eccessivo eclettismo con una scarsa omogeneità, attraverso cui la personalità della band viene fuori soltanto parzialmente. I testi definiscono un contesto ben preciso che orienta l’ascolto, l’arrangiamento non lavora allo stesso modo, non manifestando una parallela ricerca di coerenza. Tutto ciò è da imputare, forse, a una maturità musicale ancora non raggiunta, o forse alla natura del lavoro, un Ep, che inevitabilmente non può assicurare l’ampio respiro e la coesione da cui la band trarrebbe senz’altro giovamento.
di Alberto Sartore