Ho passato almeno un quarto d’ora sulla pagina web della rassegna 10 Giorni Suonati. E più contavo questi benedetti giorni del Castello di Vigevano e più continuavano impertinenti a risultarmi sette. Sette come i magnifici, come i veli, o sette come la numerazione delle note…forse? Gli apocalittici direbbero sette come i peccati capitali mentre i rastafariani risponderebbero flemmatici buttandola con nonchalance sui colori dell’arcobaleno. Beh, poco importa ora, la scommessa anti-provincialismo zanzarifero di casa Barley Arts si è chiusa vittoriosa anche quest’anno con il concerto di Jack Johnson, surfista con il piglio per il pop acustico assente dall’Italia dal 2006. Una delizia di contesto per una serata che non delude affatto le altissime aspettative dei numerosi buongustai del pop in levare. Jackie si presenta sul palco alle 22 precise, sciabattando allegramente per compiacere istantaneamente un nutrito gruppo di studentelli del “progetto orgasmus” asserragliati alla transenna, impugnata come fosse la barra di sicurezza delle montagne russe. Indiscussi protagonisti della serata, i suddetti studentelli starnazzanti emetteranno gemiti striduli per l’intera durata della performance . Lo spettacolo, quello vero, decolla solo quando JJ imbraccia la sua Diavoletto. Un occasione speciale che richiede una band di alta levatura, tipo Merlo Podwleski degli Spain al basso, Adam Topol dei CCDC alla batteria e il fantastico Zach “tuttofare” Gill a districarsi tra Rhodes, melodica e fisarmonica. Si Inizia forte con una “You & Your heart” e neanche il tempo di prendere fiato e si alza l’intramontabile inno spiaggistico “Taylor”, tre accordi di magia capaci di tramutare un bordello in campo estivo con una squisita melodia di facile presa. Sullo sfondo viaggiano statici scenari vacanziferi: spiagge, lagune, oceani di pixel a cui sarei anche pronto ad abboccare, non fosse per il venticello fresco che mi sbuffa dispettoso sulle tempie. Manco a farlo apposta ci si rituffa a colpi grevi di basso funky in una recente “To the Sea” cui segue “Upside Down” su cui il Nostro ondeggia con fare scimmiesco richiamando George, il primate animato di serie B da cui è tratta questa canzone. Un breve problema d’ illuminazione al palco crea un ottimo pretesto per servire una “Flake” scarna ed incisiva grazie all’assenza di inutili virtuosismi afroblues. A salvarmi ci pensano un paio di perle da Brushfire Fairytales come “Bubble Toes” e “Mudfootball”. Ma quando il basso grave e pulsante inizia a stufare, la chitarra slide di Kaki King entra in gioco a centro palco per regalare un tocco d’etereo a una “Breakdown” tutta ukulele e stogo. Tornano alle memoria le spiaggie zuccherine di “In Between Dreams” quadra perfetta della carriera di Mr.Johnson.
Resta benzina per il groove schiacciasassi che porta alla fusione di “If I Had Eyes” con “Staple it Together”, passando bizzarramente per la cover di “Foxy Lady”. Il tutto inseguito da un imbarazzantissimo Oh-OhOh-Oh! collettivo su “At or with me”, brividi d’imbarazzo che mi riportano alle adunate liceali negli stadi del pensionato panzone di Zocca. Ma per fortuna non abbandonerò il Castello con l’amaro sulle gengive e il mio cinico pensiero laterale non prenderà il sopravvento nel giudizio. Jack tornerà sul palco armato di sorrisone modello-mentadent e di chitarra acustica, suonerà quattro gioiellini vestiti d’arpeggio e voce, riuscendo persino a far calare il tanto atteso silenzio tra il pubblico. Trivellazione emotiva che parte dalla superficialità delle piccole cose elencate in “Do you remember?” per colpire con “Times like This” e affondare con l’intensità vibrante di “Better Together”. Un brivido unico, un cuore solo. Grande però.
(Tum)