Il poeta e lo spazzino
(Mursia)
Un romanzo che trae spunti per aneddoti, quelli del protagonista Zecchinetta, attraverso consolidati stereotipi sviluppati in brevi capitoli. Battute e scene che ricordano il più popolare Sordi neorealista. Zecchinetta, però, si delinea anche come un possibile personaggio epigono di memorie pasoliniane nell’accertata omologazione. Con Andrea si apre al fantastico, ad un’apocalittica descrizione di una Roma sommersa dall’immondizia. L’anima e, dunque, la poesia, affiorano tra Fotografie. Chernobyl evoca il surreale nella sovrapposizione del sogno al reale. Un’ulteriore città di Calvino prende forma con Marco Aurelio, il musico e il “buco dell’ozono” rivelato da un cavallo dotto. Nella Memoria e il suo sdoppiamento si tesse infine un filo tra Orwell e Pirandello. I poeti, dallo spleen parigino, hanno risalito il corso del Novecento per guardarsi indietro e scoprire un’intera civiltà stratificata in un cumulo di pattume, questo sembrerebbe osservare Zecchinetta che, di professione spazzino con vocazione poetica, attraverso oggetti divenuti rifiuti, tutt’altra fragranza fiuta: quella poetico-romantica di una società prossima al suo estremo declino. “Il poeta è cielo e latrina, morte e vita insieme”. La corrispondenza tematica resta attuale e in linea non solo con le ancora calde vicende di cronaca partenopee ma anche con quanti poeti scelsero letture pubbliche dandosi appuntamenti presso discariche nel 2006. Nelle immondizie permane l’accumulo del vissuto, autentico retaggio archeologico della civiltà dei consumi, l’ineluttabile destino di una civiltà post-industriale. Vintage a go-go tra scarti e ricordi con Mini Morris, “vecchi dischi di Beniamino Gigli” e scritti rinvenuti. La fantasia di Zecchinetta appare fervida e prodiga, attenta ad intravedere possibili vite e sviluppi tra sfilze di dentiere e cataste di scarpe. Zecchinetta è tuttavia un moralista, uno di quelli che non le manda giù facilmente, uomo d’altri tempi che, pateticamente, guarda a tempi ancor più lontani, quelli “senza lampo” nei pantaloni, ma che non rinuncia mai alla tentazione di scappatelle divenendo un impenitente donnaiolo. L’escalation è nel dilemma che subentra tra “Claudia e Cosetta”. Libro esilarante ma mai irriverente nel prendere parte e dare sfondo all’intera categoria degli operatori ecologici. Spazzini in Campidoglio, la gita alla biennale di Venezia, gemellaggi, ma anche tifo, vermi che fuoriescono da buste oltre a burle di finti tesori nell’ossessione di perseguire fortune. Generazioni di lavoratori a confronto e battutacce che accolgono l’arrivo delle spazzine, il sessismo e con esso il timore della sopraffazione. Sbarazzina, in ogni caso, “è finita nella cronaca”. Compare anche un professor Maffia, incontrato alla scuola per stilisti di moda, quella frequentata dall’altra spazzina (la delusa ma autentica) e il relativo miracolo della “grotta di Umacantay” conseguito attraverso la lettura. Infine si ritrova uno Zecchinetta ottantaquattrenne in pensione, con qualche fissazione in più tipica della senilità ed un innato gusto alla provocazione. Emerge, finalmente e a tempo pieno, lo scrittore. In appendice, a testimonianza, compaiono alcuni racconti di cui è autore il protagonista. Sette brevi narrazioni davvero interessanti. Pare che siano state rinvenute in una borsa con allegate lettere che annoverano commenti ed interventi sui testi da parte di Moravia. C’è un’ironia sottile tra le righe scritte da Zecchinetta, capace di affrontare temi scottanti come quello della pedofilia in un contesto di ambientazione storica. S’incorre anche in aneddoti letterari e in un folle clochard intellettuale che parla coi libri. Uno Zecchinetta che indaga nel fondo dell’animo umano, nella tragedia vincolata all’esistenza, carpendone tutta l’assurda violenza espletata in una società senza più memorie, negata alla poesia col pretesto di una sussistenza palesemente autodistruttiva.
(Enrico Pietrangeli)