Stasera uscirò di nuovo, anche se non ho ancora individuato una destinazione convincente verso cui dirottare il mio corpo. Verosimilmente impiegherò tutta la sera a giustificare proprio questa mancanza, con me stesso in primis ma anche nei confronti dei miei amici, compagni sporadici di vita ed esperienze da cui poco o nulla può essere tratto ad insegnamento. Ogni sera centellino le loro frasi, i loro discorsi di politica, filosofia e morale spicciola per riuscire a separarne qualcosa che mi resti per i giorni successivi, pochi elementi – anche uno solo – da trattenere in quanto miei. Ma arricchirsi con il fango è notoriamente molto difficile, salvo essere esperti speculatori o sfrontati opportunisti. Ed io non sono nessuno dei due. Sono solo in cerca di compagnia, e chiunque me la possa dare è ai miei occhi una risorsa insperata. Sento il mio campanello suonare. Sono loro. Una pressione prolungata e nervosa sul tasto che già tradisce l’ansia spasmodica di allontanarsi dal luogo in cui si trovano, dare gas alla loro vecchia Wolkswagen scassata e rivolgerne il muso verso una destinazione. Non importa quale sia, l’importante è che sia diversa. Nuova, anche solo per questa serata, per questa manciata di ore che ci separano dall’ineluttabile ritorno alle nostre case e dall’altrettanto obbligatoria attesa per la serata successiva, in un ciclico scorrere dello stesso flusso, sempre in movimento, eppure immobile.
Scendo le scale del mio condominio e mi accomodo nell’auto. Siamo in cinque e ci stiamo a malapena. Abbiamo caldo, i finestrini dietro sono bloccati e non si abbassano, la radio è troppo alta e dà fastidio a tutti, ma nessuno dice nulla circa il volume. Non ci possiamo lamentare del volume, almeno quello ci fa sentire più vivi: i nostri timpani che si flettono in maniera abnorme sotto l’eccessivo flusso delle onde radio rimandano dolore, ma non possiamo farne a meno. Le ruote stridono sull’asfalto, una rapida manovra ai limiti del codice della strada ci sballotta all’interno e direziona l’auto verso il nostro futuro, che pare scritto lontano, nelle luci della città notturna. Vogliamo provare a leggerlo, almeno per stanotte, pur sapendo che domani sarà già cambiato.
(Fabio Pirola)