“Attenzione, questa sera saranno usate luci stroboscopiche”. Un grosso cartello sul vetro della biglietteria dell’Alcatraz di Milano avverte. O forse promette. Chi conosce i Flaming Lips – chi spende 30,80 euro per andare al loro concerto – ha già un’idea dello show che metterà in scena la band di Oklahoma City. E, sì, le luci stroboscopiche sono una parte fondamentale…
Psichedelia da manuale. Nella puntualissima Milano, la sala è già piena all’orario di inizio previsto, e la band non si fa aspettare. Wayne Coyne, in abito grigio e cravattino rosa a pois neri, elegante à la Vivienne Westwood, appare eccitato di cominciare. Saltella con le sue eccentriche scarpe verdi sul palco molto ben illuminato, fra due grossi funghi rossi posti ai due lati come a delimitarne l’ampiezza. Piovono coriandoli e gocce luminose che da porpora sfumano al celeste. Esplode una psichedelia festosa.
Race for the price. L’apertura è piuttosto ovvia, la prima traccia del fortunato Soft Bulletin sembra pensata e arrangiata per la nobile arte scenica dell’icebreaking. Suona il gong e sei subito nel loro mondo. L’esecuzione strumentale è pulita e intensa, la voce un po’ bassa. Il front man bada molto più all’esibizione fisica sul palcoscenico che all’esecuzione vocale, tra un cambio d’abito e l’altro, tra un cambio scenico e l’altro, e le continue incursioni di improbabili performer vestiti con ingombranti costumi. C’è anche un Santa Claus in prima fila in platea.Nota di gossip: oltre al Babbo Natale, anche molti musicisti della scena indie lombarda e non presenti, da Bianconi (Baustelle) ad Alberto Ferrari (Verdena) e Federico Dragogna (Ministri). Possiamo affermare senza timore di smentita che i Flaming Lips ancora oggi sono una delle band più influenti, per la psichedelia più mainstream (vedi Kevin Parker) e giù fino all’underground.
Performance musicali nel complesso buone ma non impeccabili, ma ogni pezzo è una messa in scena spettacolare. 4 su 16 provengono dall’appena pubblicato Oczy Mlody. Soltanto un quarto… How?? è di grande impatto, emozionante e mind worming; Sunrise mostra chiaramente quanto il sound di questo album non si discosti molto dai precedenti. Memorabile la performance su There Should Be Unicorns, con Coyne in sella ad un unicorno meccanico che percorre interamente la platea fra l’incredulità degli spettatori che agitano prontamente gli smartphone davanti al proprio viso nel tentativo di immortalare la scena, mentre la security era impegnata a spingere con garbo la folla per fare spazio all’avanzata del fiabesco metallico animale. Abbiamo provato a documentare anche noi con un risultato eccellentemente eloquentemente astrattista (vedi foto).
Ma il culmine della gioia spettatoriale è stato raggiunto quando finalmente Coyne si è infilato nella ormai nota bolla di plastica per la loro celebre cover di Space Oddity. Abbiamo ascoltato molte storie su questa performance. Un crowd surfing “epic and hilarius”, per citare l’utente lisapunky di youtube che già nel lontano 2009 uploadava a beneficio della community. Vederlo rotalare dal vivo devo riconoscere che dà un certo gusto.
Il bis è affidato a Waitin’ for a Superman e la sempre emozionate Do You Realize??, altra prevedibile (e ottima) scelta per la chiusura, a metà fra il guastare l’edonismo lisergico, in maniera non esiziale, e l’elevare lo show verso l’autoriflessione esistenziale.
Mi sono divertito. Se non li avete mai visti dal vivo, fatelo. Se li avete già visti, non credo che andare una seconda volta aggiungerà qualcosa in termini di esperienza, ma è comunque divertente. Per quanto mi riguarda: una cosa divertente che non farò mai più.
Alberto Sartore