Gli Stanley Rubik sono un power trio romano electro post-prog. Al secolo Dario Di Gennaro (voce, basso, synth), Gianluca Ferranti (chitarra, samples, programming), Andrea Bonomi Savignon (batteria, samples). Hanno pubblicato il loro primo disco Kurtz Sta Bene (INRI Records) dopo il successo dell’ep. Lapubblicaquiete del 2013. Decidiamo di incontrarci in una birreria… si è rivelata la scelta giusta perché grazie al connubio tra alcol e rock si sbottonano un po’ di più parlando dei loro progetti, del loro presente, dei dubbi e delle speranze.
Kurtz sta bene è il nome del vostro primo disco. Kurtz è il colonnello impazzito di Cuore di Tenebra di Conrad, ripreso poi da F.F. Coppola in Apocalipse Now. Kurtz quindi per voi sta bene nel suo “orrore”?
È un discorso enorme, ma per noi Kurtz non sta bene nel suo orrore, ma nella sua totale follia, che può spaventare lo spettatore. Nella realtà l’orrore è la vita stessa, con le guerre e le violenze, il dover rispondere a delle regole dettate dalla società. Kurtz decide così di allontanarsi da questa realtà e crearsene una sua, migliore rispetto a quella che ha vissuto ed è per questo che sta bene. La follia per noi è la risposta alla realtà imposta, tutto ciò rappresenta l’ottica totale del disco: non lineare, ne regolare, ma su vari piani.
Da cosa prendete ispirazione quando scrivete un pezzo?
Non abbiamo un vero e proprio riferimento stilistico. Molte volte le parole si piegano alla musica stessa: partiamo sempre da un suono, su questo siamo molto esterofili. Anche se continuiamo a dare più importanza alla musica ci stiamo adeguando alla mentalità italiana cantautorale, ascoltando, per esempio, artisti come Lucio Dalla.
L’inglese suona spesso più naturale nel vostro genere musicale, ma cob voi questo non accade. La vostra musica è perfetta per l’italiano, spiegateci…
Principalmente perché io (Dario) non ho una buona pronuncia inglese. I testi iniziano sempre con un linguaggio inventato a cui diamo poi un senso compiuto. Riteniamo che la situazione nella nostra lingua sia più interessante perché ti permette di veicolare concetti più profondi.
Noi abbiamo l’obiettivo di arrivare al nostro Paese, siamo più nazionalisti di quanto possa sembrare. Abbiamo scritto questo disco nel boom della crisi economica, quindi avevamo l’esigenza di sfogarci e di arrivare alle persone che condividevano questo disagio sociale con noi. Coincidenza vuole che ciò che pensiamo riflette il pensiero di tanti nostri coetanei.
Nel singolo Cado dite: “Spero che un giorno questo medioevo termini”. Questo pessimismo si percepisce in tutto il disco.
Questo testo è stato scritto a quattro mani e con due teste (Dario e Gianluca) ed è servito a studiarci ed a capire se avessimo la stessa linea di pensiero. Si fa riferimento alla mentalità del Vaticano e dell’immobilismo sociale, fermo al Medioevo. Il brano vuole evidenziare questo limbo che non permette di andare avanti. È questa situazione a metterci paura, a generarci orrore… quello che prova Kurtz insomma. Io (Dario) mi domando e mi auspico che ci sia una soluzione, per Gianluca invece la risoluzione non esiste…
Tendete ad essere un po’ criptici. Anche i vostri testi lo sono. Questa chiusura nasce dall’esigenza di spingere l’ascoltatore a dare una propria visione d’insieme?
Spiegare tutto è terrificante, sia musicalmente che intellettivamente. Tra di noi siamo molto diversi, e se i testi appaiono criptici deriva proprio da questa diversità. Ci confrontiamo continuamente su tutto e diamo sempre un’interpretazione variegata della vita. Per esempio Andrea (batterista) ha dato il titolo all’album pur non avendo scritto le canzoni. È stato un po’ l’analista del gruppo: ha guardato dall’esterno e si è accorto che ogni singola canzone aveva un collegamento. Lo si può definire un concept album, ma per coincidenze dettate da un inconscio.
Un po’ metal, un po’ progressive, un po’ elettronico, definitevi musicalmente:
Siamo un pot-pourri musicale. Abbiamo optato per un missaggio analogico, quindi, quasi tutte le tracce hanno un suono simile. Siamo un gruppo elettronico dove l’elettronica non fa da padrona. Abbiamo scelto anche dinamiche diverse nella registrazione della voce che si amalgama al suono. Veniamo criticati spesso per questa scelta che ha generato un po’ di incomprensioni dei testi. Ma noi abbiamo una visione esterofila anche su questo. In Italia c’è la tradizione del bel canto, dove la voce è ciò che spicca su tutto… ecco noi abbiamo deciso di fare l’esatto contrario.
Vi definiscono cinematici, ovvero?
Tutto nasce da questo nome. La nostra carriera da musicisti si ispira allo stile registico di Kubrick, che si svolge su vari livelli. I nostri testi e la nostra musica viaggiano su questi livelli che si incastrano e si fondono. In più abbiamo sempre amato il mondo delle colonne sonore… io (Dario) da bambino ascoltavo i Goblin e sognavo di comporre colonne sonore.
Che compromessi accettereste per la musica?
Per quanto riguarda i compromessi direi che fino ad ora non si è mai presentata l’occasione, da una parte questo come band può dire tre cose: o che nessuno ti considera o che non ce n’è bisogno, o se ne hai bisogno significa che quello che farai servirà a farti avere una visibilità
maggiore. Nel nostro caso abbiamo trovato un’etichetta che ha supportato il nostro lavoro al 100% e ci lascia piena libertà artistica. Il discorso dei talent, in cui uno potrebbe intravedere un compromesso, in verità abbraccia una problematica piu ampia e controversa. Diciamo che alla base c’è una grossa crisi del mercato discografico per quanto riguarda le nuove proposte, tanto che talent del calibro di XFactor stanno spingendo sui gruppi proprio perché si sono accorti che alcune nuove proposte hanno il fiato corto. Questo da una parte potrebbe offrire a tante band la possibilità di passare ad un circuito con più visibilità, cosa a cui tutti aspirano, ma di contro la televisione spaghettizza qualsiasi cosa come se fosse un’enorme buco nero e quindi ecco l’incognita. Che dire, le proposte vanno valutate nella propria interezza e nel contesto giusto, per oggi siamo contenti che sia uscito il disco e nel futuro vedremo se si presenterà l’occasione o l’imprevisto a seconda dei casi.
Concluderei chiedendovi i vostri cinque dischi preferiti… ma siccome vi trovate a vostro agio con toni pessimistici, riformulo e vi chiedo: quali sono i cinque dischi che salvereste dall’apocalisse?
Dario: Aenema – Tool, Lateralus – Tool, Tarkus – Emerson Lake and Palmer, Selling England By The Pound – Genesis, Homogenic-Bjork.
Andrea: Deloused in Comatorium – The Mars Volta, Lateralus – Tool, Make a Jazz Noise Here – Frank Zappa, Storia di un impiegato – Fabrizio De Andrè, Dummy – Portishead.
Gianluca: Disintegration – The Cure, Mellon Collie and the Infinite Sadness – The Smashing Pumpkins, Rust in peace – Megadeth, Songs of Faith and Devotion – Depeche Mode, Ok Computer – Radiohead.
Elisa Angelini
Photo Safe&Sound