Storie di emarginati e contraddizioni al tempo dei network online per il sovraordinamento sociale.
Vorrei ripartire dall’ultima volta che ti ho visto: parco San Sebastiano, Roma, 25 Aprile. Giornata in difesa e sostegno dell’Angelo Mai e globalmente di molto altro. “È indispensabile essere liberi’, recitava lo slogan dell’iniziativa, ma quanta burocrazia e affanno ostacolano la nostra ricerca di libertà? Perchè prevale l’ostruzionismo delle autorità nei confronti diluoghi come l’Angelo Mai?
PP: C’è un problema, serissimo, di distanza fra società politica e società civile. Lessi che il sindaco Marino neppure sapeva dell’esistenza dell’Angelo Mai, o almeno così si giustificò… Da non crederci. Nel Partito Democratico romano serpeggia un sentimento di sufficienza e disprezzo anche nei confronti del Teatro Valle. I politici non comprendono più la società, quasi come non li riguardasse. Angelo Mai e Teatro Valle sono laboratori culturali e artistici, gestiti autonomamente, perfettamente e orgogliosamente al di fuori dell’establisment. Qualsiasi amministrazione di una capitale europea si guarderebbe bene dal non valorizzare le forze e i desideri di artisti e attivisti capaci di fare cose belle e significative anche al di fuori delle anguste regole che dominano la produzione culturale. Ma tant’è … Siamo in Italia.
Di contro, per Casapound si paventavano, in tempi non sospetti, finanziamenti e supporto per il restyling degli stabili. La demagogia di questo ‘partito’ non dovrebbe corrispondere a qualcosa di anticostituzionale? Che succede?
PP: Di quale partito parli? Del PD? … Se fosse il PD non mi stupirei. Ma immagino fosse un’idea di Alemanno, il campione degli “amici degli amici”, dell’inadeguatezza, del fare tanto per fare, tanto domani è un altro giorno … Temo non ci sia nulla di anticostituzionale: c’è semplicemente una grande, abnorme stupidità di fondo.
Stop Politik. Mi voglio collegare ad un frammento di un’intervista di Salmo (rapper sardo, se conosci): “internet ha salvato noi provinciali isolati”, il virgolettato uscito su Repubblica. Tu che uso fai di internet? E soprattutto, questainternet di social network e patine e apprezzamenti fasulli, disgrega o unisce le masse?
PP: Le disgrega, mi sembra evidente.Non me ne voglia il buon Salmo. È certamente vero che i social network possano essere uno strumento utile per uscire dall’anonimato, per interloquire con più persone, per scambiarsi idee e progetti, per “fare”
qualcosa di significativo. Ma ormai è evidente che FaceBook o Twitter o quant’altro siano mezzi che coincidono con il messaggio. È lo stesso identico problema di cui scriveva Mcluhan negli anni sessanta. Sono mezzi potenti di cooptazione, manipolazione politica, eterodirezione e sovraordinamento sociale. Sono più perigliosi della televisione degli anni ottanta.
Quindi era più o meno facile ‘salvarsi’ dalla provincia nel mondo 1.0?
PP: Si salvi chi può!
Perchè la provincia spaventa i giovani, è solo un lamento occupazionale oppure è un altra mania di egocentrismo, però domiciliare? In capitale si è davvero più ‘al centro’ di qualcosa?
PP: La provincia italiana è sempre stata marginalizzante. Così come le periferie delle grandi città. Ma cosa intendi per “egocentrismo domiciliare”? Se parliamo di quel fenomeno sociale ormai così ben osservabile, di ragazzi che si rinchiudono in casa a chattare per ore e ore, credendosi in questo modo al centro di qualcosa, allora la definizione è davvero azzeccata.
Leggo ogni giorno pensieri ed intere esperienze di vita postate senza pudore sulle pagine di Facebook, ma sono convinto che si scriva più per l’influuenza esercitata dal mezzo, che per ispirazione. È un sistema stranamente meritocratico, questo dà più visibilità a chi più è attivo. Quanto è importante essere attivi là sopra?
PP: Perdonami … Meritocratico in che senso? Nel senso che più ci sono e più mi si vede? E che diavolo di merito sarebbe questo? Stiamo confondendo il merito con il successo, la visibilità sociale. Niente di più sbagliato. Oggi come oggi il successo, nella società, nel lavoro, persino nella famiglia, non è che il frutto velenoso di un’ideologia del dominio che invade ogni aspetto delle nostre vite: da quella pubblica (o pretesa pubblica) a quella privata: entra nelle nostre relazioni sociali più intime e ne condiziona lo sviluppo, giorno dopo giorno. Pervade il nostro presente e ci ruba il futuro.
Che poi tutto si risolve in un chiacchiericcio digitale, in un pettegolezzo a mezzo video. Ma leggere libri è troppo poco social, si attinge direttamente alla sintesi degli aforismi per apparire alternativi. Quali sono le tue letture preferite? Cosa pensi degli e-book?
PP: Secondo me il problema vero posto dall’irrompere dei social network è inerente il linguaggio e l’uso che facciamo delle parole. C’è una impulsività-compulsività di fondo che rende l’interlocuzione così veloce da vanificarne il senso: ognuno desidera dire la propria nel modo più rapido possibile. Eccolo qui il “mezzo” che domina il “messaggio”: il soggetto desidera esserci, innanzitutto. La riflessione, l’analisi, e con esse la dialettica, passano in secondo piano, nel segno dell’apparizione, dello sfoggio di se. E per meglio “apparire”, tanto vale provocare … funziona, altro ché!
Riavvolgo tutto alla prima volta che ti ho visto, con il Teatro degli Orrori live all‘Orion. (http:// www.beautifulfreaks.org/online/2012/12/ teatro-orrori-orion/). Eri un diavolo, concedimelo, un’esibizione potente, che mi ha coinvolto, afascinato, stimolato alla riflessione. Ascoltando il tuo nuovo disco “Obtorto Collo” mi chiedo come ti approccerai alle nuove esibizioni, senza la ‘vis’ furiosa del tuo gruppo.
PP: Il concerto di Obtorto Collo vede sul palcoscenico musicisti provenienti da esperienze diverse e molto lontane fra loro. Dal jazz all’avanguardia, dal rock all’afro-beat. È uno spettacolo intimo ed avvolgente, molto diverso da quello de Il Teatro degli Orrori. E non potrebbe essere altrimenti. Sotto il punto di vista narrativo, invece, credo di essere riuscito ad approfondire i temi che da sempre mi stanno più a cuore. Le contraddizioni sociali, le ingiustizie, gli emarginati, gli ultimi.
Di quella prima volta, ricordo con particolare incanto l’introduzione/narrazione di ‘Ion’. Perchè parlare dei mister nessuno?
PP: Perché dietro alla storia dell’omicidio di quel brav’uomo che era Ion Cazacu, ci siamo noi, c’è la nostra indifferenza, vera e propria cifra del vivere contemporaneo. In Obtorto Collo c’è una storia simile, tragica e assurda come quella di Ion. La racconto nella canzone Ottantadue Ore, che narra della morte di Francesco Mastrogiovanni, “crocefisso” ad un letto di contenzione dall’allucinante indifferenza di medici e infermieri. È una storia nera, scura, grottesca, e assolutamente vera, dolorosa e purtroppo paradigmatica.
Com’è stato viaggiare in maniera autonoma ed indipendente dal gruppo verso “Obtorto
Collo”? Efettivamente è stata una navigazione autonoma ed indipendente, o era meglio quando eri indipendente (dalle etichette)?
PP: Io sono un artista indipendente tout-court. Il fatto che il mio disco solista esca per una major non significa niente. È stato il gruppo stesso a spingermi verso quest’avventura! Per me Il Teatro degli Orrori resta comunque prioritario.
Il tuo vino preferito e perchè.
PP: Amo i vini bianchi del Collio, un fazzoletto di terra carsica nel Friuli. In particolare il Sauvignon. È un vino “luminoso”, perfetto per un’ebrezza scanzonata e conviviale.Nel buon vino c’è la storia e il lavoro della gente, l’amore per la terra, per le cose buone, per la voglia di stare insieme.
A cura di Pablo Sfrri