Uscito ormai alcuni mesi fa, Superhumans è l’ultimo lavoro dei ferraresi Penelope sulla Luna (Andrea Favarato basso, chitarra, Doriana De Marco chitarra, vocoder, Roy Davison piano, synth, campionamenti, voce e Thomas Pifferi batteria). Con una formazione largamente rimaneggiata rispetto agli esordi, si sono presentati con questo lavoro ad una prova di maturità e di consapevolezza compositiva sulla scena post rock nazionale e non solo. Si può dire immediatamente che il progetto sia riuscito e che rappresenti un tentativo coraggioso di dotarsi di uno stile originale e composito, in un contesto musicale ormai saturo dove il pericolo di rimanere schiacciati dall’esempio dei grandi del genere (Mogwai, 65daysofstatic, God Is An Astronaut per fare dei nomi e che probabilmente sono ispirazione anche per il quartetto ferrarese) è molto probabile. Il prog, l’hard rock, il post metal (nel potente growl di Superhuman, brano d’apertura) riecheggiano nelle atmosfere più crepuscolari e malinconiche dei brani e negli arrangiamenti molto curati, con synth, campionamenti e vocoder che si alternano alle linee ritmiche incombenti e alla chitarre avvolgenti e potenti. I pezzi, tutti strumentali ad esclusione del primo, creano un affresco malinconico, emotivo, striato da colori contrastanti, da esplosioni di energia e fuochi lontani e notturni. L’impatto emozionale e la capacità evocativa delle tracce rimandano ai God Machine, alla loro musica epica ed intimista allo stesso tempo. Certo non siamo a quei livelli compositivi e sonori, ma la forza musicale del lavoro dei Penelope è rilevante. In qualche modo Superhumans è un quasi un concept album, con strutture che si ripetono senza soluzione di continuità nell’andamento dei brani (introduzione, crescendo, esplosione, epilogo) e tra i brani (segnati da rabbia esistenziale e riflessione interiore, in coerente alternanza) con le tastiere a riannodare i fili della narrazione e con spunti melodici che riaffiorano da una traccia all’altra. Il risultato è coinvolgente, anche se a volte dà la sensazione di poca fluidità e immediatezza, anche la componente elettronica sembra un po’ trascurata e gli inserti sintetici e digitali appaiono sottotono rispetto al resto degli strumenti. D’altra parte Feathers Cry In Pillow Wars o Vendetta!! sono pezzi riusciti dove scariche di adrenalina si diluiscono in ambienti più rarefatti e segreti. Ma è soprattutto la lunga e cinematografica Goblin, quasi una suite di oltre otto minuti, a riflettere e miscelare al meglio tutta la filosofia (e anche i difetti), la quieta disperazione della musica dei Penelope, con un esito (come tutto il disco) molto interessante.