Questo disco è controcorrente, nel panorama italiano. O meglio, va semplicemente in una direzione propria che non coincide con quella specie di transumanza espressiva in cui è impegnata la scena musicale italiana, verso la mecca del cantautorato-indie all’italiana. Se proprio dobbiamo trovare un vettore per questo disco, potremmo rappresentarlo con una grossa freccia verso il passato, che sorvola ben bene gli anni ’80 per andare ad atterrare placidamente tra seventies e sixties. Tutti i brani si attestano su minutaggi contenuti. Il lavoro del Marinaio dell’Anima, al secolo Simonefrancesco Di Rupo, è un monumento al revival – folk e soul sono i principali filoni – sicuramente molto “ispirato” dai mostri sacri del genere (non serve leggere la sua spontanea ammissione di apprezzamento a Weller ed al Bob Dylan elettrico, al cui tono di voce siamo incredibilmente vicini, per carpirne l’effettiva vicinanza). Nelle produzioni precedenti ci si avvicinava alla psichedelia più soventemente, operazione che avviene più di rado in questo album, eccezion fatta per la superlativa title track, in cui quel tipo di atmosfere si alternano, scusate la ripetizione, ad un vero e proprio revival che ricorda molto l’Andrew Lloyd Webber degli anni ‘70. Andare a ricercare le molteplici influenze che sicuramente costituiscono l’ossatura dell’ottimo lavoro del cantautore perugino, tuttavia, non deve sminuire la freschezza della composizione, perché, in soldoni, questa roba non suona mica da sola. Molto interessante In the Game of Loving, dove la rielaborazione in questo caso strizza l’occhio a Neil Young. Significative le partecipazioni dei Fuckers, anche nelle voci femminili, come in Soul Song #1, dove il funk prende il sopravvento in una commistione che non si allontana molto dal risultato di Ben Harper, ad esempio. I particolari suoni vintage delle chitarre sono esemplificativi di quanto sia stata importante una ricerca verso quel tipo di atmosfera. Lavoro ben riuscito, ben orchestrato. Be wilder.