Lambchop @ Anfiteatro delle Cascine, Firenze

Siamo in duecento, forse, a bivaccare in ordine sparso sui gradoni dell’anfiteatro delle Cascine. Alle 20:30 la moltitudine di fiorentini, turisti e modaioli in gita per Pitti Immagine sarà appiccicata al bancone di qualche open bar offerto dai lussuosi eventi che affollano le prime sere di vera estate in riva all’Arno. Ma noi siamo proprio qui, in mezzo a uno dei parchi più newyorkeschi dello stivale, per gustarci il nostro pezzo di Tennessee.
Curiosando tra le pagine di Allmusic Guide, come riportato anche da wikipedia, trovo l’espressione che meglio sintetizza (e te credo, se non ce l’hanno loro..) l’opera e la poetica dei Lambchop: “arguably the most consistently brilliant and unique American group to emerge during the 1990s.” Non posso dire di conoscere così approfonditamente tutta la musica americana, ma sono quantomeno sicuro di aver assistito ad un concerto importante. Si scherzava con chi mi era accanto: “ma secondo te che genere fanno questi? Post-country?”. Beh, qualsiasi cosa significhi il prefisso post-, mi viene da dire che forse lo chiamerei proprio così. Dovremmo trovarci in un non precisato meteorite, nella galassia compresa tra Bill Fay ed il “pop da camera”.

Il frontman Kurt Wagner è affiancato sul palco da un quintetto: batteria, basso, elettrica/organo/keys, fiati, pianoforte. Eppure il volume è così soave, così intimo, che si sente un coro di grilli e cicale, sui pini retrostanti il palco. Il concerto comincia: ” don’t know what the fuck they talk about”, opening track del nuovo Mr. M, primo album a non esser stato prodotto dalla Merge. L’incipit dello show lascia subito intuire quanto è dannatamente grande il cortile dello Zio Sam, per dirla con il doppiaggese. Il suono che i sei riescono a tirare fuori è qualcosa di commovente. Siamo abbondantemente sotto i decibel prodotti da una Fiat 127 accesa, eppure si percepisce chiaramente il subtone del sassofonista, ammaliante nelle flessuose sinuosità del clarinetto basso. La perfetta situazione in cui l’impianto audio serve a pareggiare il volume degli amplificatori. Si suona molto Mr. M. Parecchi brani vengono letti dal vivo in una chiave più intimistica, altri mantengono saggiamente quel quieto rincorrersi di armonie e poesia che ritroviamo anche nelle versioni in studio (Gone Tomorrow).

I Lambchop sono felici che siamo usciti a vedere il loro show, come ci comunicano nel loro traballante italiano da euro tour (il quale toccherà l’intero continente, questo mese). Tutto è estremamente ben suonato, ben orchestrato. Appena l’attenzione potrebbe venire meno, senza sfiorare il gain knob, i Pezzi d’Agnello (scusate, ho provato a non chiamarli così) ci riacchiappano con intrecci armonici (blur) o cavalcate revival (grumpus), ma sempre intrise di quel mal di testa tra sacro e profano (più la seconda, va…) che non si schioda mai dalle sopracciglia, qui a Nashville, TN. Dopo aver cercato dello spray anti zanzare (cit.) i Lambchop ci lasciano con un rapido encore di tre brani (FA-Q, never my love e interrupted).
Finito il concerto, ci avviciniamo al palco dove il frontman, storica colonna portante della band, siede a gambe incrociate. Siamo tutti lì per vedere l’effetto che fa una sigaretta in bocca a Wagner, prima che la sua orchestra di dedizione parta dal nostro piccolo grande paese. Sotto di lui, appoggiato al palco, un teenager con la maglietta dei Led Zeppelin parla di musica, e Wagner ascolta.

BERNARDO MATTIONI

SETLIST

If not I’ll just die
The good life
Squid billy theme / mr. met
Gone tomorrow
About my lighter
What else could it be
Nice without mercy
Prepared
Blur
Betty’s ouverture
Grumpus
The book I haven’t read
Up with people

Encore
FA-Q
Never my love
Interrupted