Dopo quattro anni dal precedente e autoprodotto In doma, esce il nuovo lavoro della padovana Debora Petrina. Intitolata semplicemente Petrina, questa è un’opera ambiziosa che conferma il talento dell’autrice, non solo come pianista e cantante, ma come compositrice in grado di cimentarsi con generi e stili diversi: dall’elettronica al pop, dal funky al jazz. Non è un caso che l’album vanti ospiti internazionali come Jherek Bischoff (collaboratore di gruppi come Xiu Xiu, Parenthetical Girls), John Parish e David Byrne. Gli arrangiamenti e le partiture, che prevedono la presenza di archi e fiati (violino, violoncello, sassofono, tromba, clarinetto) oltre a chitarre, batterie, basso, tastiere elettroniche, synth e l’immancabile pianoforte, sono ricchi e variegati, rendendo l’ascolto non così immediato anche nei pezzi più leggeri e apparentemente orecchiabili (Denti, Vita da cani per esempio). Ma è in pezzi come Niente dei ricci, surreale e martellante, con un testo in italiano tra il non sense e il diaristico, e Little Fish from the Sky, unico pezzo strumentale dell’intero lavoro, per pianoforte e potenti inserti drum’n’bass, che l’autrice mostra tutte le sue notevoli doti artistiche. Nel complesso l’album appare sorprendente nelle sue variazioni stilistiche e di ispirazione, quasi che Petrina volesse spingere l’ascoltatore ad uscire dal cliché del cantautorato più tradizionale, caratterizzato da “accordi abusati” e “arpeggi scontati” (secondo le parole dell’autrice stessa), provocandolo con una serie continua di stimoli e suggestioni, anche molto diverse l’una dall’altra. Forse questo è il punto debole dell’album, il risultato. Difatti non è omogeneo e alcuni passaggi non persuadono del tutto, risultando un po’ ridondanti e forzati, lasciando l’impressione di troppa carne al fuoco. Anche la scelta biografica nei testi non convince completamente. L’intimismo e la riflessione privata tolgono spazio all’immediatezza e all’incisività narrativa delle composizioni. Ma ça va sans dire è una questione di gusti personali. E d’altra parte quello che non manca in Petrina è l’ironia (e l’autoironia), segno di una maturità artistica ormai conquistata.