Ero

FERMOIMMAGINE

Venus Dischi/Zeta Factory, 2012

Ero è la sacerdotessa della mitologia greca, l’amata che tiene la luce accesa per il suo Leandro finquando non è spenta dalla tempesta. E qui di luce ce n’è tanta, generosa e disponibile, a cominciare da un approccio alla testualità ricchissimo; le parole trovano spazio dentro la partitura in modi originali, abbandonando quasi sempre il facile appiglio della rima e preferendo geometrie aperte e piene di sfumature. E la voce di Simone Magnani? Dov’era stato finora costui? Il nostro ci aveva regalato una primizia con un duo acustico a firma Coldturkey che nel 2006 aveva fruttato l’album Assaltacustico prodotto da sua altezza Paolo Benvegnù. Eco e riverberi della sua sensibilità non sono così distanti. Ma qui c’è un carattere unico e una personalità straordinaria. Dodici tracce in cui si spreme a sangue e sudore un distillato di rock puro, genuino e schietto. Le chitarre affilate di Il Santo, il dolore in salsa rock di Tina che “vuole fare il salto, laccio, sedia e pillola”, la progressione reggae dell’inciso di Non ne vale la pena, il boccone amaro della delusione di sé e la necessità di andare avanti in X, la tromba notturna (Enrico Pasini) nella sospesa e raffinata Fermoimmagine, la voglia di sovvertire le regole nella ruggente La macchina del tempo, l’invito a tagliare il filo che ci tiene legati alla paura in Sali e scendi, l’eretica Photophobia (“Maria ti ho redenta”), l’incitamento a ricomporre i propri frammenti rinunciando alla facile colla del cinismo in Cocci sparsi, e l’ambizione consapevole dei propri limiti di divenire l’altrui salvatore (“Cambia la fine. Cambia il tuo finale in me”, un ritornello 100% Tom Petty); il confronto diretto di La scossa, la pagina intima dell’ultima, possibilista (“Poserò le lame delle spade se tu mi insegni tolleranza”), commovente (“Quando nasceranno nuove forme di noi, promettimi indulgenza”) sentita Se. Tutto d’un fiato. “Tra cardio e razionalità”. Alti livelli.

Voto: 9

Fabrizio Papitto