WAITED, WASTED Ep
Mashhh!, 2012
Qualcuno, lassù in redazione, deve aver deciso che garage e psichedelia sono i miei campi. E chi sono io per contraddirli? Passate le introspezioni di fine ’90 e dei primi anni zero (post-rock, shoegaze e simili), mi sembra che i suoni rozzi e violenti del garage e dello stoner siano la trascrizione più efficace di questi tempi depressi e frustranti di recessione economica e mentale. Come a dire, ci abbiamo pensato bene, e alla fine siamo incazzati neri (come recitava un graffito un po’ volgare ma efficace al Pigneto, Roma: ‘Io non so’ indignata, a me me rode proprio er culo’). I Death by Pleasure pestano duro, stridono, schitarrano e urlano senza vergogna per tutti i quattordici minuti di questo Ep veloce e urticante. L.B.M.B., l’ultima traccia, è sicuramente il pezzo più riuscito del disco, quello più strutturato e coinvolgente, che ricorda un po’ i Black Rebel Motorcycle Club nei loro momenti più sporchi e ispirati. Vibrazioni negative, ve l’assicuro. Ai due trentini non manca grinta e voglia di fare casino, e certo l’entusiasmo che mettono nella loro musica è percepibile nel chiasso delle chitarre e in un drumming fragoroso ed essenziale. Distorsione ovunque, voci sporchissime, noise & feedback contribuiscono a rendere l’impatto di questa manciata di canzoni granitico e graffiante. Il punto debole di questi ragazzi è, a mio avviso, una certa monotonia nelle melodie vocali, spesso poco rifinite e inefficaci. Un peccato, perché con un po’ di cura in più i pezzi di Waited, wasted avrebbero guadagnato punti, visto il tappeto sonoro solido e fedele agli stilemi del genere; l’inquietante cupezza delle armonie strumentali rischia troppo spesso di passare in secondo piano, schiacciata da momenti di cantato svogliato. Resta un disco solido, dopotutto; lo-fi, disagevole e infuocato quanto basta per non farlo passare inosservato (tant’è che il duo vanta anche un recente passaggio per Moby Dick, noto e ottimo programma di Radio2). Long live the blues, attraverso tutti i suoi figli, fino a quelli più lontani e trascolorati. E così sia. Selah.
Voto: 6.5
Marco Petrelli