Chinasky

Niente a che fare col bukovskiano Chinaski. Se vi aspettate birra, fagioli, sigarette e coito, non siete mai stati così lontani dall’identità di questa band. Colori pastello e ambienti luminosi, voce aspra e nivea, sound cristallino. Con il vecchio Hank non hanno mai nemmeno camminato lungo la stessa strada… una premessa atta giusto a sgombrare il campo da riferimenti che l’onomastica potrebbe legittimamente tirare in ballo.
«I Chinasky – ci dice il comunicato che presenta il lavoro discografico – hanno affrontato questo disco per il semplice gusto di farlo, lontani da convenienze, aspettative o regole di mercato». Quella che potrebbe sembrare la solita retorica dell’indie affrancato da smanie di successo professionale, è invece confermata: la band è ormai sciolta da anni, ambizioni non ce ne sono davvero più…
Third Untitled Album fu concepito nel lontano 2007 e poi congelato, pubblicato dopo cinque lunghi anni. Il congelamento, si sa, blocca ogni processo interno, non consente la naturale raffinazione o maturazione cui il tempo potrebbe recare in dono, né rigenera il prodotto. E se il congelamento era avvenuto con il prodotto ancora in parte acerbo, allora – parafrasando un poetico forum di cucina – la successiva maturazione diventa un fatto casuale.
Il lavoro fatto al Garagestudio è molto buono, ma a monte la composizione dei brani soffre di un approccio a tratti (stranamente) amatoriale, forse distratto, pagando dazio a un genere che necessiterebbe al contrario di un’attenzione formale elevatissima. L’iniziale Supercalifragilisticsound è l’unico brano davvero riuscito e compiuto. La ricetta proviene dagli Stereolab, utilizzata anche altrove nell’album (insieme a una grande quantità di materiale eterogeneo raccolto qua e là in bilico lungo l’asse del tempo), ma senza il medesimo risultato.
 

di Alberto Sartore