THE JELLYFISH IS DEAD AND THE HURRICANE IS COMING
Blinde Proteus, 2009
Ecco, gli Herba Mate suonano come quelle vecchie, scassatissime cuffie: gracchianti, casinari, pesanti. Ma non è affatto sgradevole. Mi piace questo rumore. A volte cupi e ossessivi, a volte più bluesy con chitarre scordate che menano bordoni ogni volta che possono e qualche linea di cantato qui e là che ricorda Scott Weiland e King Buzzo. Anche qualche strano, breve momento ambient che fa buon brodo (l’apertura, ad esempio, o l’introduzione all’ultimo pezzo, Sputnik, uno dei migliori dell’album). Il principio è quello della psichedelia del nuovo millennio, con un abbondante utilizzo di droning e riff che s’avvolgono in spirali acide fino a farti ronzare le orecchie e accenni di melodie mai del tutto rassicuranti che sono là per riprendere fiato prima di essere spinto nuovamente sott’acqua. Tutto sommato un disco ben riuscito (ah! il titolo mi piace molto, sembra uscito da uno dei pezzi caustici che Hunter Thompson scriveva per Rolling Stone qualche migliaio di anni fa!), nessuna grande novità, ma in confezione pressoché impeccabile. Introspettivi, direi. Scarabocchi d’inquietudine interiore sbattuti in faccia a noi ascoltatori; un pestaggio bello e buono che gli Herba Mate concludono quasi disinfettando i tagli che ci hanno inflitto con una lunga, proteiforme, delicata coda acustica finale.
Voto: 7
Marco Petrelli