Herba Mate

THE JELLYFISH IS DEAD AND THE HURRICANE IS COMING

Blinde Proteus, 2009

Quando facevo il liceo, dovevo prendere ogni mattina un pullman che per quarantacinque lunghi minuti s’arrampicava tra le colline fino a scuola. Non che ci fosse molto da fare durante il tragitto: si parlava un po’, si litigava un po’, si organizzavano feste e collette per il fumo e poco altro; perlopiù ci infilavamo le cuffie nelle orecchie e guardavamo assonnati il sole che sorgeva piano dietro i finestrini lerci. Chiunque abbia avuto esperienze del genere ricorderà che l’immancabile ritornello del Walkman era la rottura di un paio di auricolari ogni quindici giorni circa con conseguenti, disperati tentativi di prolungare la vita di quei pezzi di plastica agonizzante tramite nodi, elastici, colla e scotch a go-go. Per un po’ ebbi un paio di cuffie che rendevano qualsiasi cosa ascoltassi (da Miles Davis ai Tool) un pasticcio psycho-stoner gracchiante, tanto che alla fine, disperato e con un principio di tinnitus, mi toccò elemosinare il famoso “’na cuffia io, ‘na cuffia tu” tra i miei amici.

Ecco, gli Herba Mate suonano come quelle vecchie, scassatissime cuffie: gracchianti, casinari, pesanti. Ma non è affatto sgradevole. Mi piace questo rumore. A volte cupi e ossessivi, a volte più bluesy con chitarre scordate che menano bordoni ogni volta che possono e qualche linea di cantato qui e là che ricorda Scott Weiland e King Buzzo. Anche qualche strano, breve momento ambient che fa buon brodo (l’apertura, ad esempio, o l’introduzione all’ultimo pezzo, Sputnik, uno dei migliori dell’album). Il principio è quello della psichedelia del nuovo millennio, con un abbondante utilizzo di droning e riff che s’avvolgono in spirali acide fino a farti ronzare le orecchie e accenni di melodie mai del tutto rassicuranti che sono là per riprendere fiato prima di essere spinto nuovamente sott’acqua. Tutto sommato un disco ben riuscito (ah! il titolo mi piace molto, sembra uscito da uno dei pezzi caustici che Hunter Thompson scriveva per Rolling Stone qualche migliaio di anni fa!), nessuna grande novità, ma in confezione pressoché impeccabile. Introspettivi, direi. Scarabocchi d’inquietudine interiore sbattuti in faccia a noi ascoltatori; un pestaggio bello e buono che gli Herba Mate concludono quasi disinfettando i tagli che ci hanno inflitto con una lunga, proteiforme, delicata coda acustica finale.

Voto: 7

Marco Petrelli