Peter Broderick

THESE WALLS OF MINE

Erased Tapes, 2012

Bizzarro, Peter Broderick. E bizzarro anche quest’ultimo lavoro, These Walls of Mine, da lui stesso definito “dieci esperimenti vocali e lirici”. Non si potrebbe definirlo meglio, in effetti. Non sono esattamente dieci canzoni, piuttosto dei tentativi di dar forma a un tessuto testuale tramite sovraincisioni vocali e strutturazioni sonore il più delle volte minimaliste ma azzeccate. Ha fatto un po’ di tutto, Broderick: colonne sonore, musica per balletto, dischi strumentali (nei quali suona banjo, piano e tutto quello che gli capita sottomano). Marcatamente elettronico eppure folk, è un abile creatore di atmosfere arricchite dalla sua voce salmodiante, spesso filtrata in modo da apparire lontana; immaginate di ricevere una telefonata in piena notte da qualcuno che ha una lunga lettera da recitarvi, accompagnata da qualche asciutta nota di chitarra acustica (è quello che succede in Freyr!, elegia per un gatto scomparso che è uno dei momenti migliori del disco). C’è una sorta di freddo fascino in questi dieci pezzi che sembrano registrati al volo su un portatile in un pomeriggio piovoso da qualche parte al nord. Gli spoken word These walls of mine I & II muovono da una sorta di poesia recitata trasformandosi in un pezzo hip-hop in minore, un po’ spiazzante e un po’ fuori luogo. Ma non c’è un pezzo simile a un altro, qui, solo esperimenti, per l’appunto, ognuno con le sue regole e le sue meccaniche, e però tutti in qualche modo impastati della stessa aria, dolce o malinconica ma sempre delicata. Monotono, forse, ma di facile ascolto e tutto sommato piacevole. E poi è bello sentire qualcuno pasticciare con le parole, vista la scarsa attenzione che troppo spesso viene riservata ai testi con gran danno al piacere “poetico” della musica, che in fondo è almeno la metà dei nostri ascolti.

Voto: 7

Marco Petrelli