Quella che mi appresto a scrivere non vuole essere la Bibbia del tecnico del suono, ma semplicemente una raccolta delle mie personali esperienze, per cui qualsiasi critica costruttiva è sempre ben accetta e stimolante.
In questo primo articolo voglio introdurre quello che è l’Home Recording.
Tale pratica ha preso recentemente piede, grazie sopratutto allo sviluppo e all’avanzamento della tecnologia software e hardware. Oggigiorno possiamo affermare, difatti, che è possibile realizzare a casa propria un prodotto che va dalla semplice demo sino alla registrazione di un album di media qualità, con un costo nettamente inferiore a quello richiesto qualche anno fa. Grazie alle nuove tecnologie il vero aumento di qualità si ottiene a piccoli passi e con grossi esborsi nel campo della strumentazione, per cui è saggio rivolgersi o a studi professionali, o alle proprie risorse.
Cominciamo ora a distinguere vari termini che ritroveremo spesso. Partiamo dalla differenza tra mono e stereo.
Attualmente i mezzi di ascolto più diffusi sono composti da due casse, che permettono un corretto ascolto stereofonico o monofonico:
Mono: è la riproduzione identica di un suono su entrambe le casse. Riprodurre un suono mono panpottato sulla cassa sinistra e lo stesso sulla destra, non crea stereofonia, ma solo il cosidetto “Big Mono”, che comporta al massimo un aumento di volume del suono stesso. Solitamente mono è un suono registrato con un singolo microfono (chitarra, basso, rullante, voce…).
Stereo: è la riproduzione di suoni differenti su una cassa e su un’altra. E’ possibile registrare un suono stereo con 2 microfoni o trasformare un suono mono in stereo. Modellare un suono stereo è quindi compito nostro, attraverso il corretto collocamento degli strumenti nello spazio e attraverso i giusti effetti.
Possiamo identificare 3 fasi principali nell’Home Recording (ma non solo):
– Recording: l’acquisizione del materiale audio in forma grezza, attraverso strumenti specifici, quali microfoni, librerie di suoni…
– Mixing: è la fase di correzione del materiale acquisito, e prevede il collocamento degli strumenti nel panorama stereo, l’uso di effetti (compressore, delay, equalizzatore…). Rappresenta sicuramente una delle parti più impegnative di cui ci occuperemo successivamente.
– Mastering: serve a correggere alcuni errori del mix oltre che ad alzare il volume totale del pezzo. Tale cosa ha generato in passato una vera e propria guerra (loudness war), su chi producesse il file audio col valore rms più alto. Attualmente possiamo parlare di alcuni “standard” di volume che variano da genere a genere. Il processo del mastering prevede allo stesso tempo l’utilizzo di compressore, equalizzatore, maximizer… non più sul singolo suono, ma sul brano generale.
Di solito, in ambito professionale, le prime due cose vengono fatte dallo stesso studio, mentre l’ultima in uno a parte. Questo perché sono richieste competenze, oltre che strumentazioni, totalmente differenti. Noi ovviamente faremo tutto (e oltre) nella nostra casa.
Altra differenza importante è quella tra RMS e Peak:
RMS: sta per root mean square e si basa su un calcolo, che ci permette di capire la media del volume sul quale sta viaggiando un file audio, in un determinato intervallo di tempo. Più è alto questo valore, più possiamo percepire il pezzo come suonato a volume alto.
Peak: indica invece il livello massimo a cui il pezzo arriva in un determinato istante. Ricordiamo che nel campo della registrazione digitale è assolutamente vietato superare la soglia di Peak dello 0db sul master di volume.Tale cosa genera infatti una distorsione (clipping), non piacevole per l’orecchio umano, oltre a sollecitare scorretamente i nostri impianti, causando malfunzionamenti e rotture.
La differenza tra Peak ed RMS ci darà la dinamica del pezzo, ovvero la differenza tra il piano ed il forte. Ovviamente avere un valore di Peak e di RMS uguale, comporta una piattezza e innaturalezza del suono, cosa che è largamente evitata da chiunque. Una forte differenza comporta una dinamica più ampia ed un volume percepito più basso (cosa che può essere risolta aumentando il volume dello stereo!). Come in tutte le cose, in medio stat virtus.
Lo strumento principale, che si utilizza per l’home recording è la DAW (Digital Audio Workstation), ovvero il programma che ci permette di acquisire tracce audio e di editarle. Tra i più diffusi in campo Windows c’è Cubase, mentre in campo Mac troviamo Logic. Io per comodità mi riferirò solo a quest’ultimo, anche se essendo due sistemi molto simili, sarà possibile trasferire le conoscenze di uno sull’altro e viceversa.
All’interno di questa DAW, potremo inserire programmi specifici chiamati plug-in, che vanno dal singolo effetto VST (Virtual Studio Technology), a strumenti virtuali complessi, chiamati VSTi (dove la “i” sta per instrument). Di plug-in ne troviamo un’infinità, gratuiti e non, disponibili sulla rete, e ovviamente a seconda delle necessità e dei gusti personali si preferirà l’uno piuttosto che l’altro.
Oggi abbiamo trattato i caratteri generali e i termini importanti nell’Home Recording.
Vi aspetto la prossima volta per parlare delle caratteristiche generali di una DAW e del suo utilizzo.
Davide Pucillo