Il Brancaleone è a Montesacro, io abito nella parte opposta della città. Per non perdermi l’apertura dei Confusional Quartet devo muovermi con un certo anticipo. I mezzi pubblici di Roma mi sorprendono: arrivo ben prima del previsto, non era mai accaduto, e sono costretto ad aspettare. Nella mezz’ora d’attesa fumo l’ultima sigaretta del pacchetto, molto male.
Metà del locale è destinato a una festa di laurea: luci rosse e casse che pulsano, ci sono più persone in coda per la festa che per il concerto. Una volta dentro, mi muovo tra tende di strisce di plastica stile mattatoio fino alla sala-concerti. Un’altra mezz’ora d’attesa. Decido di prendere una birra da cinque euro, al bar è l’unica birra che servono. Un tempo i centri sociali non avevano prezzi così alti.
La folla è piuttosto rada. I Confusional Quartet si muovono per la sala chiacchierando con il personale prima di sparire dietro le quinte. Il concerto comincia poco dopo. Il quartetto ci sa fare, e questo l’avevo intuito ascoltando il loro ultimo disco, ma dal vivo sono una potenza, niente meno. Il concerto è tiratissimo, praticamente senza pause; i quattro propongono in lungo e in largo la loro omonima ultima fatica, e il pubblico che si rimpolpa minuto dopo minuto, unendosi al casino moderato ma generoso. Il tipo davanti a me, ben vestito, forbito e quieto come un bimbo, comincia a uscire di testa e ci dà sotto con l’headbanging.
L’esibizione non dura molto. I Confusional Quartet se ne vanno dopo aver eseguito un piccolo bis richiesto a gran voce dai fan (“Un’altra?”, “C’è da chiederlo?”). Un concerto veloce e impeccabile, pesante, fluido. Non per tutti, sicuramente, ma alla fine tutti erano contenti.
Headliner della serata sono i Giardini di Mirò. Decido di trattenermi per sentire anche loro, ma prima è la volta di Laura Loriga, aka Mimes Of Wine. Non accompagnata dalla sua band, propone una manciata di pezzi per voce e piano solo. Le sue canzoni sono eteree, delicate, malinconiche come un pomeriggio passato in casa per colpa della pioggia. Loriga sparisce come un folletto, ma la sua è una presenza importante, senza di lei I Giardini di Mirò sarebbero stati schiacciati dalla violenza e velocità del Quartet, e questo nulla toglie alla loro riconosciuta bravura. I Giardini sembrano infatti in gran forma (nonostante qualche problema tecnico) e sfoggiano il loro raffinato intreccio sonico. Inanellano un pezzo dopo l’altro, sovrapponendo, distorcendo, diluendo, dissonando e via così. Il pubblico li osanna, e loro lo ricambiano alternando melodie sottili e fragore in feedback, con un signor bis a chiudere il tutto. Le chitarre vengono appese agli amplificatori, libere di urlare, e la gente se ne va, soddisfatta, assordata, felice.
Marco Petrelli