LA DISCOGRAFIA E’ MORTA E IO NON VEDEVO L’ORA
Labelpot Records, 2012
Discografia è qui da intendersi come l’attività industriale relativa alla fabbricazione, incisione e riproduzione dei dischi fonografici. I meccanismi di potere che hanno regolato la filiera dell’industria musicale tradizionale appartengono a un mondo antico, a un regime economico e culturale che si suppone estinto. Con la discografia, a morire è un consolidato modello produttivo.
«Il crollo di un intero sistema di monopolio discografico – afferma la band – produce oggi degli inaspettati scenari di innovazione, e delle buone possibilità per tutti». Molti (tutti), a loro avviso, ne auspicavano il decesso, e in molti ne hanno tratto beneficio… qui s’insinua il sospetto che non si tratti di morte naturale… Occorre indagare.
Concentriamoci sull’ipotetico movente: i vantaggi. La parola chiave è “possibilità per tutti”, il discorso è però pericoloso e fuorviante. Daniele Coluzzi (voce e testi) lo conosce bene, sull’autoproduzione musicale ha scritto un intero libro. Sa che il web non presenta meno insidie, tutt’altro. Per la nota teoria della “coda lunga” all’imprenditore 2.0 conviene puntare su tante piccole realtà, perché dalla sommatoria dei piccoli successi (ma anche insuccessi, non fa tanta differenza) possono trarre guadagno riducendo il rischio dell’investimento. La produzione può essere esternalizzata, la qualità è una componente accessoria, la distribuzione invece è capillare e illimitata, la quantità è il reale valore dell’offerta.
Ma dal punto di vista degli artisti, se tutti hanno visibilità, chi è realmente distinguibile dalla massa informe di nomi e figure digitali? Io non sono Bogte optano per la strategia dell’originalità, per la retorica del nuovo. Vedono il lato positivo della faccenda: la necessità di un rinnovamento reclama dei rinnovatori. Ma la loro è soltanto un’osservazione, a guardar bene musicalmente non ambiscono affatto alla novità. Le dieci tracce dell’album si aggirano tra l’invettiva sociale impersonale alternative e la malinconica ballata acustica dissonante su tema autobiografico, passando in rassegna le tendenze dell’ultimo lustro di musica indipendente italiana. I brani sono orecchiabili, alcuni versi poterebbero essere usati dagli adolescenti del duemilatredici per ornare di pavida ribellione le pareti bianche della propria stanza, si ha però l’impressione di vagare entro l’arida terra del già sentito. Talvolta si fatica a restar concentrati, presi dal filo dei rimandi e delle somiglianze. Un aspetto che a un ascoltatore transigente o conservatore potrebbe non dispiacere.
La musica italiana & altre stragi è la traccia-manifesto dell’album. Qui la presa di posizione avversa ai sistemi dominanti del presente è molto esplicita, con particolare riferimento al mondo del lavoro “facciamo uno stage/ per imparare a vendere il silenzio” e all’ambito musicale “ritornelli tutti uguali/nessuno ha più niente da dire”. Io non sono Bogte hanno frequentato quello stage e scritto quei ritornelli e chissà forse sotto sotto è proprio questo che lamentano nei loro testi. La loro ansia di rinnovamento magari è il sintomo di una frustrante immobilità della quale anch’essi inevitabilmente sono vittime.
Purtroppo sono lontani dal suggerire una buona direzione, ma intanto in loro soccorso vi è una trovata marketing-oriented. Per promuovere l’album presentano un nuovo supporto in edizione limitata. Si tratta di una scheda usb da 2 GB raffigurante una musicassetta, in cui sono contenute le tracce in mp3. Un gadget simpatico.
Voto: 5.5
A.M.