IL CAMMINO EVOLUTIVO DELLE PALINDROME IN GAELICO
Autoprodotto, 2012
Questo (s)compositore campano, qui al settimo molto poco “compact” disc, risponde al nome di Davide Carrozza (non provate a chiedergli che musica fa, ma almeno a un basico come-ti-chiami dovrà pur rispondere). Stiamo parlando di uno che ama suscitare una certa ilarità prima di tutto con “titoli che sembrano partoriti da Lina Wertmüller in acido” (Simone Stefanini – Rockit): ha fatto uscire un album siglato È inutile prendersela con le cooperative rosse se tuo cugino si è suicidato a testate contro la lavastoviglie, contenente pezzi tipo Volete tutta la verità o che vi ripavimenti casa? o ancora 96 motivi per cui non sono nato a Predappio, roba che neanche Rosario Fiorello quando faceva il verso ai titoli d’essai di Nanni Moretti… ed è uno che ha pubblicato un album chiamato Verso l’infinito e basta! con un unico omonimo pezzo strumentale di chitarra da 47 minuti primi e 36 secondi. Cos’altro vi aspettate?
Ne Il cammino evolutivo delle palindrome in gaelico i pezzi sono dieci e i nomi non deludono i già citati; sono pezzi kebab, c’è dentro di tutto. Si apre – giustamente – con Sipario, poche note di chitarra ripetute per oltre 6 minuti; segue il ritmo macabro stile Mike Oldfield di Danza rituale sulle ceneri del Chihuahua e il puro loop di Passo a due: John von Neumann [importante matematico ungherese, ma come capirete non ha nessuna rilevanza, ndr] e la Madonna di Chernobyl. Il top si raggiunge con Breve riassunto delle puttane precedenti, in cui viene campionato l’Eminem di Without me mentre sotto scivola ogni cosa, dai Foo Fighters di Best of you al famigerato stacco di sassofono di Run Away dei SunStroke Project, quello del video virale Epic sax guy per intenderci, un must dell’ultima dance. C’è tanto di un Interludio (il pezzo trance può venirmi meglio) che si apre con stralcioni di un monologo di Paolo Rossi sulla Lega; si campiona anche Erik Satie nel plunderphonics di La passerella dei feti cianotici. Diciamolo, questo di Davide Carrozza è un lavoro ingiudicabile, ma di una cosa siamo sicuri: i quasi tredici minuti di Una rosa sboccia nel Giardino del Giàsentito, col loro scratching su cui si innesta una splendida suite postrock, ci hanno emozionato, ci sono sembrati un manifesto di bellissimo e inaspettato romanticismo, dietro e dentro il rumore del vissuto più stridente; fino a farci venire il sospetto che ci sia più dell’ironia in questa operazione, che si vada oltre il gioco della provocazione avanguardistica, come le ultime traccie “serie” sembrano star lì a suggerire. Ma allora, a volerlo prendere sul serio, questo disco non risulta sopra la sufficienza, incapace di raccogliere, per non saperli portare a maturazione, i frutti del proprio mestiere. E d’altro canto l’ironia, concepita ed esercitata come operazione intellettuale, è ancora istinto di conservazione, lontana, in altre parole, dall’essere concretamente coinvolta nel processo creativo allo scopo di dire qualcosa di nuovo.
Voto: 5
Fabrizio Papitto