ADULTERIO E PORCHERIE
Muki Edizioni, 2012
Quello che colpisce qui è l’abilità recitativa unita a una band impeccabile nella sua filologica ricostruzione di un folk (nel senso più ampio) morboso, a tratti disagevole, non nuovo ma non scontato. Nonostante poi Magellano dichiari di avere un vocabolario limitato, la sua produzione lirica non è niente male, forse ossessiva nella ricerca del perturbante, dell’infimo, del disgustoso; ma comunque sempre efficace, vivida, funzionale alle tessiture perfettamente sgangherate delle sue composizioni. E alcuni dei pezzi dell’album, che pure è tutto estremamente godibile, restano subito impressi per la forza che emanano, lividi violacei a ricordo delle storie malaticce che contengono (non riesco a smettere di fare paragoni venerei, a riprova dell’ambiente infetto che introduce il disco). Penso a La retrocessione del Giulianova, forse il più “violento” dell’album, o Djievuska Incintissima, melodramma grottesco che apre l’opera. Ma anche alcuni momenti meno crepuscolari, come La favola del pasticciere, o la dolcemente brutale Amore mio fallimentare, irregolare lamento che porta, a passi malcerti, alla conclusione.
Magellano è un ottimo ascolto: il suo piccolo teatro mobile schifoso porterà incubi voluttuosi ovunque pianterà le tende, e di questi tempi d’asettica disperazione, un incubo è quasi un sollievo.
VOTO: 8/10
Marco Petrelli