Frankie Magellano

ADULTERIO E PORCHERIE

Muki Edizioni, 2012

Prendi un po’ di etno-decadenza à la Capossela, un paio di polke stile Tom Waits, un pizzico di De Leo e qualche ballata dolceamara, lascia macerare il tutto in acqua di palude e vino sotto la luna piena e avrai Adulterio e Porcherie. Un’orchestra di fantasmi che suona per un pubblico di morti viventi. Esagero? Il fatto è che questi undici pezzi evocano immediatamente un’atmosfera a metà tra un horror belle-époque e un lercio bordello abitato da languide vaiasse col trucco sbavato. Certo Magellano è un ottimo interprete, le sue canzoni oscillano tra il sussurro asmatico, l’urlo e il declamato: un teatrino granguinolesco di passioni sguaiate, delicatezze tarlate e sudiciume a palate.

Quello che colpisce qui è l’abilità recitativa unita a una band impeccabile nella sua filologica ricostruzione di un folk (nel senso più ampio) morboso, a tratti disagevole, non nuovo ma non scontato. Nonostante poi Magellano dichiari di avere un vocabolario limitato, la sua produzione lirica non è niente male, forse ossessiva nella ricerca del perturbante, dell’infimo, del disgustoso; ma comunque sempre efficace, vivida, funzionale alle tessiture perfettamente sgangherate delle sue composizioni. E alcuni dei pezzi dell’album, che pure è tutto estremamente godibile, restano subito impressi per la forza che emanano, lividi violacei a ricordo delle storie malaticce che contengono (non riesco a smettere di fare paragoni venerei, a riprova dell’ambiente infetto che introduce il disco). Penso a La retrocessione del Giulianova, forse il più “violento” dell’album, o Djievuska Incintissima, melodramma grottesco che apre l’opera. Ma anche alcuni momenti meno crepuscolari, come La favola del pasticciere, o la dolcemente brutale Amore mio fallimentare, irregolare lamento che porta, a passi malcerti, alla conclusione.

Magellano è un ottimo ascolto: il suo piccolo teatro mobile schifoso porterà incubi voluttuosi ovunque pianterà le tende, e di questi tempi d’asettica disperazione, un incubo è quasi un sollievo.

VOTO: 8/10

Marco Petrelli