NOVEMBRE
Latlantide/Edel Italy – 2012
Che questo autore romano classe 1972 sappia toccare con sensibilità la materia dei propri versi è fuori discussione. Come pure che questa sensibilità si attivi con relativa freschezza e che tale materia sia quindi eterogenea e piena di interesse. A Massimiliano D’Ambrosio, qui al suo terzo lavoro, di essere un cantautore della nuova generazione interessa poco; le sue, per intenderci, sono canzoni a maglia, lavorate col tessuto della più autorevole tradizione italiana in un album costellato di riferimenti. De André prima di tutto, fantasma ingombrante e che neppure un Requiem a lui dedicato riesce ad allontanare. Lo si riconosce quasi ovunque: l’essenzialità degli arpeggi, lo spirito da bardo di una voce che vuole essere di cantore e non di cantante, il fare della parte strumentale quasi sempre un’ancella e mai una protagonista, perché il messaggio passa sopra e non dentro; il gusto popolare per la filastrocca e il gioco di rime (una Aprigli la testa che potrebbe essere una Volta la carta ma anche I re del mazzo, assistite da una poesia rispettivamente di E.E. Cummings e di Garcia Lorca); la parolaccia come veicolo terragno di schiettezza morale, la rilettura laica di alcune pagine religiose sentite come parte di una storia comune (un Jesus, stavolta sulle spalle di Borges, che ha nostalgia della falegnameria paterna). De Andrè non è però il solo. Il primo brano mette in musica La ballata delle donne di Edoardo Sanguineti (uno degli esiti più felici dell’album), e l’insistenza anaforica della spensierata Rosa o della conclusiva Amore a dieci euro pagano senz’altro un debito al De Gregori più stralunato e romantico. Cuore del disco è l’episodio non a caso centrale, quella Scese lenta l’ultima neve che affronta la vicenda di Stefano Cucchi, pagina scomodissima della cronaca nazionale. D’Ambrosio attacca i ragionieri delle condanne in un brano che oltre ad essere un drammatico atto di accusa (Accecare usignoli, quando restano soli/a volte gli mette appetito – un verso di grande statura) è anche una rievocazione narrativa sentitissima. Ma dunque ricapitoliamo: De André, De Gregori, Sanguineti, Cummings, Lorca, Borges, Cucchi. Ma, verrebbe da chiedersi, Massimiliano D’Ambrosio dov’è? Non che sia troppo, non che questo ripasso faccia male intendiamoci. Ma una scrittura che ha tanta necessità di fraternizzare è per lo stesso verso una scrittura che arranca a trovare il proprio respiro. In molti casi la voce del cantautore si perde, la pagina sa ancora troppo di quaderno, manca la canzone che sappia comunicare sé stessa senza darsi pena di compiere un’azione culturale, e i tentativi di riuscire in proprio sono forse gli anelli più deboli del disco. Si avverte che la scrittura agisce su committenza emotiva di uno stimolo intellettuale, e questo senz’altro raffredda molti passaggi. Nell’attesa che l’atmosfera si riscaldi, continueremo comunque a tenere in considerazione questo nome che pure ci offre momenti di ottimo livello.
VOTO: 6,5/10
Fabrizio Papitto