BLANK TIMES
Interbeat – 2012
Dopo un album acustico (Becoming invisible) e uno sperimentale (Below the Line), Fausto Rossi torna con un lavoro più canonico, Blank Times. Dieci tracce, in prevalenza rock ballads in forma verse-chorus, con testi in parte in italiano, in parte in inglese (talvolta le due lingue sono compresenti all’interno dello stesso brano).
Il plurilinguismo dell’album non desta certo stupore. L’autore nel corso della sua lunga attività ha spesso vagliato varie forme linguistiche, musicali o verbali, per esprimere il multiforme mondo interiore, e d’altronde l’inglese non è per lui una novità: tale scelta ricorse già in Love Story del 1985, ma anche più recentemente in Becoming invisible.
La lingua inglese affascina Fausto Rossi per il suo ampio vocabolario (è la prima lingua al mondo in quanto a ricchezza di vocaboli), ma l’italiano non può essere assolutamente abbandonato, almeno per non eliminare “il gusto di scrivere canzoni che possono nascere di getto – come egli stesso ha dichiarato nell’intervista rilasciata a Lamette nel 2010 – in cui testo e musica appaiono insieme”.
La struttura armonica dei brani è piuttosto comune, siamo in territorio pienamente rock. Gli arrangiamenti sono puliti ed essenziali, con qualche oculato inserto elettronico. L’album non si mette in evidenza per sperimentazione o ricerca, ma per la profondità dei suoi contenuti, espressi principalmente per mezzo del timbro vocale tormentato e fragile, con un tono molto meno irriverente e derisorio che in passato, ma più distaccato e perentorio.
Blank Times è un disco intimista, esistenzialista, nichilista. Il campo semantico si stringe intorno alle stelle, ai sogni, alla notte, al linguaggio. Il sogno è la dimensione in cui l’uomo può sentirsi sicuro, appartato. Il mondo reale è il luogo da cui attingono i sogni, ma la discrepanza è vertiginosa e il ritorno dal sogno alla veglia provoca sofferenza, pena. Si avverte uno scontro dialettico tra due sensazioni divergenti, il tepore rassicurante del sogno e della collina (il riferimento autobiografico è alla sua amata casa in collina) e la desolante vacuità e incertezza della mondanità. I momenti dell’album sono scanditi da movimenti ascendenti o discendenti dello sguardo, verso le stelle (Tu non lo sai, Stars) o verso il suolo (Il vostro mondo, Down down down), a contemplare rispettivamente l’immensità e la caducità della vita e del mondo.
L’io narrante si rivolge spesso a un Voi impersonale (Il vostro mondo, Non vi ho creduto mai), enfatizzando una frattura tra l’individuo e il sistema sociale di regole, di norme di condotta, dettate da una comunità a cui non sente di appartenere. Si avverte un certo distacco da parte dell’autore nell’affrontare certi temi, talvolta per prendere le distanze dall’oggetto del suo discorso, talvolta perché costretto dall’ineffabilità e impenetrabilità che ammanta l’esistenza. Il tono perentorio e sicuro del suo enunciare non deve ingannare circa la reale capacità che i versi hanno di esprimere la complessità dell’animo umano e dell’esistere. “Non posso spiegare solitudine e dolore/ come potrei parlare della moltitudine interiore […] Posso sentire me stesso/ ma non sono sicuro circa il dove e il quando […] Come potrei spiegare/ il futuro nei miei occhi” (tradotto dall’ottava traccia, Can’t Explain).
Siamo al limite dell’incomunicabilità, ma ciò non induce l’autore a una rinuncia, anzi, è portato a sentire una maggiore urgenza di espressione. Il perché del ricorso alla forma canzone, dunque scrivere e cantare i suoi versi, lo spiega egli stesso, forse lo ribadisce, nell’ottimo I Write Aloud: “Scrivo ad alta voce perché a fatica riesco a sentire me stesso/ […] Ad alta voce, perché ho paura di ciò che scrivo; la paura inventa il futuro/ Scrivo ad alta voce perché la paura si trasformi in una farfalla gioiosa/ Perché questo mondo sia erotico.”
Fausto Rossi conferisce alla musica un alto valore, per questo decide di agire in musica, ed è per noi una gran fortuna: senza questa sua fiducia non avremmo uno dei massimi artisti che la musica italiana ha conosciuto negli ultimi quarant’anni.
Voto: 7
Agostino Melillo