Nino G. D’attis – Mostri per le masse

Questo libro si è meglio palesato per via dell’attraversamento di un inferno personale, privo di mappe e, soprattutto, degli strumenti danteschi, a partire dall’anacronistico ed ingenuo tentativo d’intravedere una Beatrice. Un libro che, al di là delle congetture espresse, manifesta una condizione tangibile dell’abisso contemporaneo, tanto interiore, nella caotica e penetrante rappresentazione di anime perdute, quanto esteriore nell’intreccio di trame oscure e violente. Vicende immaginarie ma parallele ad un reale espletato con tanto d’inserti di cronaca del recente passato, costantemente percepibile nel suo essere in grado di debordare oltre ogni fantasiosa ricostruzione. Inferno di sola andata per tutti. Non è un caso, forse, che il titolo renda bene espliciti i “mostri per le masse”. In tempi di rigurgiti religioso-integralisti facenti perno sul dualismo bene-male, giusto-sbagliato, lecito-illecito, il satanismo diviene un fenomeno complementare sempre più contagioso e funzionale alla contrapposizione. Ambientato a Roma, da un “fantaccio” preso quasi a pretesto, si snoda tentacolare, tra le strade del Pigneto, San Lorenzo, Montesacro e altrove disegnando un paesaggio d’impatto, teso ad innescare un tenebroso anello gotico di riti sacrificali, con tanto di trasmissioni su sette e testimonianze in diretta su Radio Rock. C’è qualcuno che ha premura di recapitare un video raccapricciante e poco credibile, mentre vengono evocate anche più colte dicotomie zaratustriane annoverando, tra le altre, le irrinunciabile location di Veio, Nemi e le esoteriche vallate boschive adiacenti. Inferno apodittico più che apocalittico, nonostante le tinte di conclamato orrore, a vincere è un’irrefutabile perdizione che si personifica nel protagonista, in una sorta di monologo sviluppato sul conflitto interiore e che attraversa la trama nel contesto più tradizionale del noir. Sono molti i flashback strutturati nel tessuto narrativo, insieme ad una “copia sgualcita” di Romanzo criminale lasciata in bella vista sul sedile del passeggero. Dialoghi essenziali, truculenti ed efficaci, speed ritmati come, per l’appunto, risultano essere gli interpreti, che a tratti sembrerebbero fuoriuscire da uno schermo di carta, con tanto di soundatrack e titoli di coda riportati sul finale. Personaggi che, nella media, sono ben caratterizzati, ma, tutto sommato, non così originali. Profondo rosso, Milano calibro 9 e Delitto al ristorante cinese, con tanto di Bombolo redivivo nelle espressioni d’Ivano, potrebbero essere solo alcuni dei numerosi possibili filoni di riferimento storico-cinematografici. Si configurano, man mano, intrecci dove l’inferno diviene spunto per connessioni con servizi deviati ed altri poteri occulti che Vlad, l’angelo del crimine, sigilla nel baratro dell’anima con la sua complice-compagna. Autentica coppia di “vampiri psichici”, di quelli che “sbranano l’aura delle persone che incontrano sulla loro strada”. Sesso patologico, prêt a porter, quotidiano rimedio per masse inquiete, compromesse e ormai incapaci del vivere e del piacere. Squarci di luce sulle droghe legali, quelle farmaceutiche, alternate all’ormai onnipresente cocaina, sempre più consolidata nel ruolo di disinibita metafora del potere. Ricorre un’inquietante sigla: VIRGOH121, che svela spettri di un esercito segreto in un finale con tanto di controcampo in regia per un’ulteriore esecuzione.
(Enrico Pietrangeli)