Nicholas Clapton – Moreschi, l’Angelo di Roma

Esce un’opera di apertura internazionale per i tipi di Edizioni Controluce, in collaborazione con il locale coro intitolato a Moreschi, l’ “angelo” protagonista, e le strutture della locale comunità monticiana. Il libro, a dire il vero, vede una prima edizione inglese nel 2004 curata dall’autore Nicholas Clapton e, soltanto nel novembre del 2008, viene alla luce nella sua prima stampa in lingua italiana con una puntuale traduzione curata da Giuliana Gentili. L’entusiasmo dell’autore per “l’angelo di Roma” si estende, in quanto ampiamente trattati nel saggio, verso i castrati e le loro particolari doti canore, condivisibile fin dalle prima righe, con la figura di Elsa Scammell, ed identificato nel finale sull’eco dell’ “evviva il coltello”, gratitudine di un tempo presumibilmente espressa per quante delizie ascoltate in melodie. Moreschi, oltre ad eccellere nella sua categoria in quanto a ottave, versatilità e timbrica, viene qui catalogato come l’ultimo dei “menomati” del coro della cappella Sistina. Una vita ed una carriera che, dalle vicende risorgimentali, approda all’ascesa mussoliniana traversando, a cavallo tra i due secoli, quei profondi mutamenti socio-politico-culturali che caratterizzarono il nostro paese. Un’esistenza spesso decisa, come rimarca l’autore, “da coincidenze storiche”. Tra le sue tracce più tangibili, restano quelle lasciate nel solco in cera lacca, rappresentando, a tutti gli effetti, un raro documento realizzato attraverso le allora neo-acquisite tecniche di registrazione. A immortalare la sua voce sarà Owen che, nel 1902, si trovava a Milano per registrare Caruso ed opta per una variante recandosi a Roma. All’arrivo di Moreschi nel coro, c’erano già altri sei “capponi sacri”, cosi come ai tempi furono denominati i “menomati” nella Roma papalina. Per i coristi, a fianco di taluni privilegi – come quello di essere esentati dai digiuni – permaneva uno stipendio piuttosto contenuto, circa 118 lire nel 1871 per un impegno a tempo pieno. Va tuttavia menzionato un coerente orgoglio vaticano che, allora, rifiutava stanziamenti da parte dello stato italiano. Nel lungo excursus tra “origini e relazioni”, si affrontano le varie tecniche di castrazione. Quella dei più promettenti talenti cantori si era evoluta in un bagno d’acqua calda con assunzione d’oppio intorno al XVI secolo. Di lì a più tardi, il fenomeno stesso dei castrati diverrà “esclusivamente italiano”. Col Novecento resterà la sola memoria – definita “archeologica” – dell’ “insegna di un barbiere di via dei Banchi Vecchi”: “Qui si castrano fanciulli per la Cappella papale”. Sul fronte dell’altro secolo, l’Ottocento, a rimarcare povertà e squallore sociale della Roma pontificia, vengono riportate alcune note di Mark Twain e il suo The innocents abroad, in un contesto che vede la popolazione spesso analfabeta e l’inserimento della prima scuola d’obbligo solo a partire dal 1877. Una condizione che, certamente, vedeva per Moreschi una concreta speranza d’impiego ed inserimento attraverso la procurata preservazione delle sue capacità vocali. Libro ricco di aneddoti interessanti, come quello su Clemente VIII, che vedeva una designazione in onore di Dio quella dei castrati in seno al coro considerando il caffé, in una matrice proibizionista, bevanda di Satana. Ma Leone XIII, da quanto si evince dal testo, non indugiò ad approvare una mistura popolare a base “di vino e cocaina”, assai in voga ai tempi e denominata Vin Mariani. Una bevanda che, oltremodo, riscosse anche più nobili consensi, come quello della regina Victoria d’Inghilterra. Adeguato spazio viene considerato nell’opera per trattare l’aspetto anatomico, nonché disfunzioni e patologie tipiche della categoria, dalla più scontata tendenza all’obesità a taluni sviluppi anomali assai meno facilmente relazionabili, come la cifosi. Nell’istituzione ecclesiastica l’autore trova posizioni che, nei stravolgimenti del Novecento, definisce caratterizzate da “irrequietezza”, ma, da quanto riportato a sintesi di più secoli, si va da Nicea e le sue posizioni proibitive verso l’auto-castrazione, intesa come scelta, all’affermazione del fenomeno dei castrati che segnerà il corso di oltre tre secoli per la cappella Sistina, un contesto dove l’elemento cromatico ed emozionale viene a prevalere sui modelli di “purezza e semplicità”. Ciò nonostante a prevalere, infine, saranno i cecilianisti e la tradizione polifonica gregoriana designando l’estinzione dei castrati dal coro. Ad uscire di scena sarà il consolidato direttore e musicista Mustafa, emblematico di un mondo che, con Perosi, assumerà tutt’altri contorni e direzioni. Mustafa è anche il personaggio cardine della stessa vita di Alessandro Moreschi ed i suoi esiti professionali, caratterialmente difficile e che, soprattutto negli ultimi tempi, solo attraverso protratte assenze seppe manifestare i suoi dissensi. Oltre la vita di Alessandro, resta in sospeso un ulteriore presunto e mai accertato “menomato”, ovvero Domenico Mancini, con la certezza di una tomba al cimitero monumentale del Verano, sepolcro peraltro non facilmente identificabile da quanto riportato in una cronaca della visita dello stesso Clapton. Oggigiorno, in cui si dibatte tanto di castrazione chimica per pedofili e stupratori, non può non restare un briciolo di nostalgia per il fascino e l’eleganza che contraddistinse una categoria del tutto onorata nella tradizione vocale. Moreschi, forse, è l’epilogo di questa memoria rispetto quanto viene ormai ordinariamente considerato con riluttanza o, tutt’al più, come estrema ratio per contrastare patologie sessuali. Ma già nell’antichità, come sottomissione od espiazione, e nel dettaglio in Cina, dove si praticava come “alternativa alla pena di morte”, la castrazione assunse connotati punitivi come pure risvolti di prestigio sociale che in India, ma non solo, si caratterizzarono persino in valenze di tipo ascetico.
(Enrico Pietrangeli)