Beautiful Freaks è qualcosa di seriamente bello. A dieci anni di distanza dalla sua nascita, è il simbolo di un pezzo della nostra generazione che non ha smesso di sognare e non s’è stancato delle sue vecchie appartenenze. A dieci anni di distanza dalla sua nascita, è e rimane una ragione di orgoglio nel mondo alternative e indie rock. A dieci anni di distanza dalla sua nascita, è e rimane la speranza che la prossima generazione non sia così diversa dalla nostra: che possa tornare ad avere una cultura musicale trasversale, trasparente, ricca e indipendente, che possa riconoscersi in riviste pulite e coraggiose come questa, che possa ritrovare i negozi di dischi che noi abbiamo visto chiudere e possa restare fedele ai pochi locali che abbiamo seriamente amato – quelli in cui ci piaceva passare del tempo per ascoltare qualcosa di bello, di poco noto, di nostro. Pochi ma buoni.
Se penso a come noi eravamo, noi collaboratori e vecchissimi amici di BF dico, a come eravamo quando è cominciato tutto, dieci anni fa, divento matto. Eravamo pieni di vita, di fantasia, di vizi e di capricci. E di amori sbagliati. Eravamo allegramente incoscienti e tuttavia abbastanza impegnati, quando serviva. Il disastro forzista non sembrava invincibile e soprattutto sembrava passeggero. Il futuro era comunque nelle nostre mani e sembrava docile, sembrava docile da plasmare, docile forte. Ci siamo sbagliati, ma è stato incredibilmente bello sbagliare. È stato giusto. Scintillavamo di vita.
Il forzismo sembrava passeggero perché era troppo finto, troppo patetico, troppo grottesco per poter durare. Invece eccoci qua, 2011, sempre pieni di vita, forse meno fantasia di prima, sicuro molti meno capricci e tanti vizi in meno, ma molta più coscienza. E la strana sensazione che abbiamo sottovalutato qualcosa di terribilmente buio che ci stava, poco a poco, sovrastando: una forma di potere più cattiva, sinistra e subdola di quanto potevamo immaginare. Poggiata su un fosco e molto diffuso consenso popolare. E già, sono tantissimi. Eccoci qua, 2011, inaspettatamente combattivi. Forse più in minoranza di prima. Un po’ meno giovani. Ma vivi.
Una delle cose belle è che BF è arrivato sin qua, ci ha accompagnato sin qua e in un certo senso parecchie volte ci ha guidato sin qua, tenendoci dalla parte giusta della barricata. E allora ti viene automatico pensare che c’è speranza, che c’è un po’ di speranza in più. Che le vecchie radici sono comunque vive e forti. Che tutta la musica rock che abbiamo ascoltato, da adolescenti e da ragazzi e da giovani, è servita a qualcosa. È servita a insegnarci a non fare compromessi. Almeno, a non accettare certi compromessi. È servita a insegnarci di avere il coraggio di fare scelte difficili. È servita a insegnarci a dubitare, disobbedire, disertare, quando necessario; e dubitare, disobbedire e disertare è stato proprio bello, certe volte. Magari non ha aiutato a fare carriera, però è stato abbastanza divertente. Suicide is painless.
Ci si ritrova, a forza di fallimenti e diserzioni e via dicendo, ad amare le cose semplici con un’intensità superiore. Le cose semplici, piccole. Vere. E poi capisci che tanto piccole non sono. Già. Cari tutti voi di BF, quel poco di buono che ho pubblicato negli anni è nato da tutta una serie di esperienze, incontri, discorsi, ascolti. Senza di voi sarebbe stato diverso. Vi devo un sacco di dischi. Vi devo un sacco di gioia. Una gioia incredibile, come quando ci siamo ritrovati a festeggiare libri e dischi e foto e via dicendo al Circolo degli Artisti. Che cose stupende e uniche e tutte nostre. Libere, oneste, indipendenti. Vi voglio bene e vi ho voluto un sacco di bene, e un pezzo di me sarà per sempre vostro. In voi, e con voi, c’è stata la parte migliore di me. Non potevo saperlo, ma adesso me ne sono accorto.
Troppo tardi, dite? Fa niente. Fa letteratura.
(Gianfranco Franchi)