Forse li avete visti suonare con band come Explosions in the sky, Mono, Ulan Bator, Tarentel, Giardini di Mirò. I Mokadelic sono un quintetto di rock strumentale che, nel corso di dieci anni di attività, ha sviluppato una proposta musicale che supera la facile assimilazione agli schemi del post-rock chitarristico. Come molti loro pezzi, la storia dei Mokadelic è stata un continuo crescendo: dai primi ep autoprodotti, alle recensioni su fanzine; il primo lp, l’incontro e la collaborazione con Niccolò Fabi, sino all’approdo al cinema e all’esplosione di notorietà data dall’aver realizzato la colonna sonora del film di Gabrile Salvatores “Come dio comanda”. Ora dopo qualche altra collaborazione con il cinema (“Marpiccolo di Alessandro di Robilant e vari cortometraggi e documentari), l’assordante rumore delle chitarre cede il passo a una melodia più quieta. I Mokadelic ripartono da qui. Dal desiderio di contaminare la propria musica con diverse forme d’arte. Dall’idea di mettere assieme cose anche molto diverse fra loro. BF ha parlato di questo e di altro con i tre quinti dei Mokadelic (Cristian Marras, Alberto Broccatelli e Alessio Mecozzi).
Da dove si ricomincia una volta diventati famosi?
AB: dagli amici di sempre…
AM: non è che sia poi cambiato così tanto, a parte la villa e la pelliccia turchese che avevo sempre sognato. Abbiamo il solito sgabuzzino-sala-prove. E proviamo. Stiamo lavorando ai pezzi per un album nuovo, perché oltre alle colonne sonore sentiamo l’esigenza di sperimentarci su brani nostri, senza paletti e senza dover rendere conto a nessuno. Per il resto basta. Forse abbiamo solo più proposte per i live.
AB: Secondo me siamo in una fase di sperimentazione, abbiamo dei possibili approdi: uno è continuare la collaborazione con il cinema per le colonne sonore che è una cosa che ci interessa molto. La seconda è continuare con la musica che abbiamo proposto fino ad oggi. La terza è trasformare il nostro progetto musicale, contaminandolo con altre espressioni dell’arte contemporanea. Lo show che proponiamo potrebbe non essere più solo un concerto, ma un’esperienza artistica completa, una performance, in cui una parte è l’ascolto, una parte è l’esperienza musicale, una parte è visiva. Vogliamo far lavorare assieme queste tre dimensioni dando vita a qualcosa che è più della somma delle parti.
In parte non l’avete già fatto con “Sulla cattiva strada” [il reading-concerto assieme a Elio Germano, Filippo Timi e Gabriel Salvatores – nda]?
AB: quella è stata una cosa che ci ha ispirato. Proporre la nostra musica miscelata con altre arti è un’ottima strada per riuscire ad insinuarsi anche laddove non sembriamo doverci stare.
Dal punto di vista tecnico, cosa implica dover mettere insieme musica, immagini, voce di un attore?
CM: quella è stata una situazione nella quale abbiamo dovuto lavorare un po’ di più, anche perché siamo sempre stati abituati a presentarci sul palco dovendo interagire solo con le immagini, quindi con a disposizione una libertà, una “potenza di fuoco” notevole. Invece doversi misurare con degli attori ha significato contenere il nostro suono. Gli attori erano un elemento in più che però aveva un ruolo determinante nella riuscita artistica dello spettacolo. Bisognava comunque tutelare l’aspetto espressivo e quindi anche noi dovevamo essere molto più controllati, Cosa che forse non eravamo molto abituati a fare quando ci trovavamo sul palco. È stata un’esperienza molto più ragionata ma, allo stesso tempo, molto più libera emotivamente perché descriveva più cose. L’elemento narrativo prima veniva veicolato attraverso musica e immagini, in quella situazione c’era anche un significato testuale.
Come avete lavorato con gli attori?
AM: Molto ha coordinato Salvatores. Lui ha deciso quali brani leggere, che musica più o meno abbinare. Poi noi gli davamo dei suggerimenti…
AB: comunque, in realtà, per quello spettacolo abbiamo fatto pochissime prove, mi pare due, e in una non eravamo nemmeno tutti. Tecnicamente abbiamo provato una sola volta, il pomeriggio precedente per tre-quattro ore. Prima c’eravamo visti una volta a Roma ma c’era solo Elio [Germano – nda].
Quindi ora…?
AB: per il futuro non abbiamo in mente una cosa definita. Bisogna vagliare bene le possibilità. Nel senso che immaginare di fare un’esperienza, ad esempio, con un poeta che legge i propri componimenti potrebbe essere qualcosa di molto stimolante. Allo stesso modo, immaginare un attore che interpreta dei testi, puntando quindi maggiormente sulla componente teatrale, sarebbe altrettanto interessante. Oppure pensare sperimentare qualche strumento diverso che funga da voce in alcuni brani o in alcuni momenti dei brani. Insomma stiamo pensando che la nostra espressione sonora debba integrare qualche altra esperienza artistica. Quindi, magari nei live ci piacerebbe proporre forme che non sono solo musicali: dalla pittura, alla danza, al circo… un elefante… volevamo chiamare anche i carabinieri a cavallo…
AM: comunque rimaniamo un gruppo da live. Ti dà più emozioni. Lo studio diventa pure una palla, una sede di grossa contrattazione, dove a seconda di come mixi un brano può cambiare tutto… Come un dragone che… [si perde la metafora. Peccato – nda].
CM: secondo me è cambiato anche il nostro atteggiamento nei confronti dei live, prima puntavamo sulla quantità, quanti ce ne proponevano tanti ne facevamo.
AM: adesso possiamo un po’ più selezionare i live. Sono anni che usiamo dei video per accompagnare la nostra musica (anche prima di collaborare con il cinema), quindi adesso abbiamo deciso che mentre suoniamo i video [opera di Andrea Cocchi – nda] devono essere un elemento fisso, non suoniamo più senza. In passato magari se ci proponevano una serata chiudevamo un occhio, ora pretendiamo un po’ di più sia nei live sia quando andiamo a registrare.
Come si è evoluto il vostro suono? Se doveste descrivere dieci anni di suono mokadelic in due o tre tappe fondamentali…
AB: Secondo me, si è evoluto insieme ad ognuno di noi, è compagno dell’evoluzione delle persone, della personalità […] perché è dio che ci ha dato la possibilità di suonare… A parte gli scherzi, quando sei più giovane hai bisogno di punti di riferimento, perché la personalità musicale è più acerba, invece, con l’esperienza ognuno di noi si forma un proprio suono, un’identità più forte.
CM: il mio modo di suonare il basso è cambiato in maniera radicale. È vero che il modo con il quale una persona si rapporta con un mezzo espressivo come il proprio strumento cambia con il cambiare di se stessi. Adesso mi misuro, con alterni successi, anche con altri strumenti; e anche il basso non lo vedo più come uno strumento che ha un ruolo definito, ho un approccio più versatile. Il basso, come un qualsiasi altro strumento, serve a produrre un suono, che poi tu utilizzi come meglio credi.
AM: io ho avuto sempre un modo di suonare un po’ anomalo. Non avendo una tecnica sopraffina ho sempre cercato di realizzare quello che avevo in mente, in maniera semplice minimale e diretta. Tendenzialmente il mio modo di suonare è rimasto quello. Chiaro c’è stato, col tempo, un maggior affiatamento con gli altri, un maggior ascolto degli altri strumenti, agli inizi andavamo un po’ ognuno per conto suo, adesso c’è un’ amalgama.
Voi avete cominciato a suonare con l’etichetta di band post-rock. Oggi ne avete un’altra da suggerire?
AM: beh direi di no, oggi definirci è un po’ difficile, anche perché ci siamo molto discostati dai gruppi di riferimento iniziali.
AB: Adesso abbiamo una nostra identità…
Personalmente, ho sempre visto nella vostra musica qualche influenza hard-rock…
AB: per me è un complimento.
AM: io non ho mai sentito quel tipo di musica, forse viene da Alberto e Maurizio e a ben vedere pure da Cristian. Ora che ci penso l’unico stronzo a cui non piace l’hard.rock sono io.
CM: su questa cosa delle etichette spesso ci viene da ridere. Pensa che su internet qualche tempo fa ho trovato qualcuno che ci considerava come rappresentanti del nuovo progressive italiano.
AB: magari sapessimo suonare come i gruppi progressive…
L’altro giorno leggevo un’intervista agli XX nella quale dicevano che non hanno fatto altro che mettere qualche pezzo sul loro myspace e poi sono stati chiamati da una casa discografica e ora sono in tour mondiale. Voi che avete cominciato quando con internet al massimo ci si scambiava qualche e-mail cosa ne pensate dell’uso del web per promuovere e diffondere musica?
AB: Internet ha il limite di essere una realtà virtuale, ti dà la possibilità di avere tanta gente che ti vuole ascoltare. Però se poi nel mondo reale non c’è un’organizzazione in grado di permettere ai gruppi di fare live, spostarsi e avere un giro economico, succede che hai un grande numero di fans, che fisicamente non hanno la possibilità di ascoltarti se non in maniera virtuale. È come se offrissi loro l’antipasto senza poi poterti permettere di servire tutta la cena.
(gfz – gianfrancozucca@gmail.com)
Per saperne di più: www.mokadelic.com
I mokadelic sono Alberto Broccatelli: batteria; Cristian Marras: basso; Maurizio Mazzenga: chitarra; Alessio Mecozzi: chitarra; Luca Novelli: piano e chitarra; Andrea Cocchi: video.
Bio:
Nell’inverno del 2002, esce il primo cd autoprodotto I plan on leaving tomorrow. I brani dell’album sono trasmessi da varie emittenti radiofoniche nazionali e recensiti da riviste specializzate e webzine. Nel corso degli anni vari brani sono inseriti in diverse compilation (Rock Star, “Cronache da una spirale” [Polyester], Losing Today, MarteLive, Fuoriscena, Clouds [Raise Records]). Nel 2004 compongono la colonna sonora del cortometraggio “Dove dormono gli aerei” che costituisce, insieme ad altri corti, il film Bambini (Pablo Distribuzione). Nel 2006 viene portato a compimento il nuovo album in studio Hopi, Due brani tratti dal cd compongono la colonna sonora del cortometraggio Fib1477, in concorso alla 63a mostra internazionale di cinematografia di Venezia. In seguito il musicista Niccolò Fabi propone al gruppo di fare parte del progetto Violenza 124, ed è così che i Mokadelic registrano il brano Red July. Ai Mokadelic è affidata, dal regista Gabriele Salvatores, la composizione della colonna sonora originale del film Come Dio comanda, tratto dall’ultimo omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti. La band compone ed esegue l’intera colonna sonora originale del film. Nel 2009 prosegue la collaborazione con il cinema: i Mokadelic arrangiano la colonna sonora originale del film Marpiccolo di Alessandro di Robilant, prodotto dalla Overlook Production, e compongono le musiche per il cortometraggio Paul Bonacci di Alessio Pasqua. Nel 2010 i mokadelic prestano il loro repertorio alla sonorizzazione del documentario In zona mia di Alessandro Ferroni e Elisabetta Angelillo.