Avevamo già speso buoni apprezzamenti sul precedente “Terramare” e l’impressioni di qualità si conferma anche con questo “Racconto d’Inverno”, ambizioso e riuscito progetto in cui musica e parola si fondono creando un continuo rimando tra il libro a firma Leonardo Sonetti e il lavoro di quest’ultimo con gli altri membri degli Arpia. Un disco prettamente acustico, un lungo brano musicale che si articola in più movimenti accordando i luoghi e le vicende del romanzo alle emozioni trasmesse dalle note. Di questo e altro si è parlato con l’autore.
Da sempre la contaminazione tra stili e arti vi ha contraddistinto, non ultimo questo lavoro che si divide tra il romanzo e la musica. Com’è nata l’idea e come si è sviluppato “Racconto d’inverno”?
Racconto d’inverno è nato da un fallimento. Avrei voluto comporre un adattamento musicale ad un altro romanzo, a dire la verità, quello era il mio scopo. Si tratta di un testo particolare: Racconto d’autunno di Tommaso Landolfi, uno degli autori più interessanti del novecento italiano. Dopo tre mesi di tentativi infruttuosi ho capito che avrei dovuto scrivere un nuovo romanzo, che avrei dovuto riscrivere dall’incipit landolfiano. Da lì l’idea di fare un libro e un cd. Ma non è venuta prima né l’una né l’altra cosa: andavo avanti pendolarmente dall’uno all’altro. Un’esperienza irripetibile, credo.
La cosa bella della vostra carriera è che non vi si è mai riusciti ad incasellare. Vi divertite ancora tanto a far “impazzire” i poveri critici?
Come puoi immaginare non si tratta di far impazzire nessuno. È una vera necessità quella di tentare nuove strade. Ma forse esprimersi in questi termini non è ancora abbastanza preciso. Le nuove forme, infatti, le nuove idee, i nuovi lavori, prendono vita da soli, vengono su già spontaneamente in una certa maniera. Ad esempio Racconto d’inverno è nato acustico non solo perché lo “volevamo” acustico. È stata una sua esigenza, a cui ovviamente non ci siamo opposti. Anche se non è stato facile e abbiamo dovuto mettere in discussione le poche certezze raggiunte in tanti anni.
Questo anno, se non erro, festeggiate i venticinque anni di carriera. Gettando uno sguardo alle spalle come ti sembra sia mutata la scena italiana? Pensi si stia meglio o si stia peggio oggi?
Potrei dire che oggi sia molto peggio di ieri. Basterebbe ricordare che alla fine degli anni settanta il patrimonio della musica rock e progressive era enorme. Si veniva da un decennio di ricerca e esperimenti ma, soprattutto, di grandissimi risultati artistici. Ma il problema oggi è di cultura musicale, di sensibilità diffusa, anzi, di cultura tout court. Eppure questo non è sufficiente. Perché nonostante tutto forse oggi si stanno preparando cose nuove, innovative, sincere. L’essere umano è molto più vasto e indecifrabile di quanto vogliamo credere. E il nostro desiderio di comprenderlo e risolverlo con uno schema storico o una formula ideologica, l’indice preciso di quanto sia allo stesso tempo sconsideratamente limitato.
C’è mai stato un momento in cui avete pensato di dire basta?
No. Sinceramente no. Ci sono stati alti e bassi, momenti in cui si è creduto di più e altre di meno. Ma non è mai successo che si sia pensato di smettere. Allo stesso modo in cui ogni nuovo disco o progetto risulta diverso dal precedente per necessità, così non si può smettere perché la musica e la creatività sono pratiche di sopravvivenza. Dobbiamo mangiare, respirare e fare musica se vogliamo vivere.
Qual è stato ad oggi invece il momento più bello, il momento in cui vi siete sentite ampiamente ripagati dei mille sacrifici che comporta il fare musica, soprattutto in Italia?
È sempre l’ultimo, l’ultimo disco, l’ultima realizzazione. Lì ci si sente sgravati da un onere e si guarda con riconoscenza il nuovo nato. Ma se vuoi posso aggiungere che subito dopo si entra un po’ in crisi, perché dopo ogni disco fatto bisogna ricominciare da capo e si comincia a temere che forse non si riuscirà più a far nulla di buono.
Per concludere, quali sono i progetti in cantiere per arrivare al traguardo dei trenta?
Per arrivare ai trenta ci vogliono progetti, hai detto bene. E di progetti ne abbiamo tanti. Forse troppi e con caratteristiche anche molto diverse. Ma alla fine sono sicuro che seguiremo il nostro istinto. Anche se ciò che nasce può contraddire in parte il progetto che si è costruito un attimo prima. Ora stiamo proprio lavorando a più idee, attenti a quello che succede attorno e dentro di noi. Prima o poi la strada più vera, più sentita, sarà quella che si farà da sola. Speriamo solo che ci porti avanti, che ci faccia fare un altro bel po’ di percorso.
(a.p.)
Per saperne di più: www.arpia.info