Marco Palladini

Non abbiamo potuto essere gentili

Libro sugli anni Settanta, non l’ennesimo libro… Un percorso di mnemonautica proiettato nello specchio del tempo che trattiene senza sentimentalismi, né rimpianti né censure, solo quel che è stato, spogliato e, finalmente, sedimentato. Dalle bische dei circoli monarchici alle vibrazioni dell’Electric Ladyland hendrixiana, si articolano i primi passi dell’adolescenza dell’autore. Le sorprese o, piuttosto, inediti compagni di banco, si personificano subito in Andrea Ghira, certamente il più romanzabile del trio del Circeo. Un “estremismo tanatofilo” che, negli sviluppi, non lascerà immune l’intero periodo, dalla logica della violenza degli opposti estremismi all’eroina, sintesi ed esito di un nichilismo perdente. La pratica dell’amore libero, l’uso condiviso di spinelli come del privato, l’autodeterminazione nell’autocoscienza, lo stesso superamento del modello della famiglia nella liberazione sessuale e persino le contraddizioni del femminismo con, sullo sfondo, il sogno di un mondo migliore, più tollerante, caratterizzò il periodo e sono il risvolto solare di una stessa medaglia ancora troppo spesso vincolata al solo lato oscuro di violenza ed estremismo. Londra e l’estate del ’70 sono il nucleo culturale dell’emergente ed impegnato progressive sound, una capitale della controcultura con l’isola di Whight nella memoria comune. Il ritorno e il coinvolgimento nel collettivo studentesco, dove ancora non è radicata una coscienza politico-ideologica, porterà infine Marco ad un personale percorso nelle file di un’organizzazione dell’estrema sinistra. Sotto i veli di un preponderante comunismo, soprattutto quello strutturato di organizzazioni come Avanguardia Operaia, tutt’altro che spontaneista e decentrata sebbene meno estremista dell’altra sigla legata ai tempi, quella di Autonomia Operaia, fuoriescono tuttavia gli autentici valori innovativi dell’epoca, quelli libertari e progressisti. Riferimenti che caratterizzarono una generazione con radici nella cultura beat e psichedelica degli anni Sessanta piuttosto che nel marxismo-leninismo e che, soprattutto, furono negazione dei dogmi dei padri, rottura generazionale, tanto con l’antifascismo convenzionale istituzionalizzato quanto con i forti retaggi cattolico-conservatori caratterizzanti, dal dopoguerra, il nostro paese di Peppone e Don Camillo. Fu “prima di tutto, uno scontro culturale”, come anche lo stesso Mastropasqua, curatore della prefazione, non può fare a meno di ricordare. Una rivoluzione comunque insita in un “Novecento ideologico”. La testimonianza introduttiva del primo dialogo, quello col padre, lascia intravedere il disordine sociale che portò consenso al fascismo per addentrarsi negli esiti personali della chiamata alle armi come ufficiale, fino ai nefasti esiti dell’8 settembre. Di lì la deportazione in Germania e un rocambolesco rientro in patria nella continuità di una scelta politica moderata, probabilmente soltanto consolidata dai tanti orrori. Marco, allora poco più che ventenne, era invece l’estremista di turno, il manifesto dissenso ai padri che, coraggiosamente, scelse posizioni estreme ma sociali, non quelle egotiche ed utilitaristiche dei giovani d’oggi, “stretti tra l’afasia critico-culturale e lo sbrodolamento personale”. Un attivismo vissuto fianco a fianco tra i ferrovieri, poi nelle borgate per le occupazioni delle case sfitte e, infine, all’università, divenendo leader politico presso la Facoltà di Lettere. Ma qui inizia anche ad incrinarsi quel trasporto ideologico, ad interrogarsi per assumere una coscienza critica che determinerà un definitivo allontanamento che coincide con la vigilia del ’77. Destino dell’autore, del resto, sembrerebbe quello di restare sospeso tra quel magico e pericoloso, ma vivido decennio delimitato, alla genesi, dal ’68. Il dialogo col figlio immaginario che appare “apatico, imbelle, sfiduciato, inconsistente” e “vuoto” dietro le ombre degli integralismi che “stanno lavorando per affossare ogni prospettiva di trasformazione libertaria”, si pone a sigillo del tutto.
(Enrico Pietrangeli)