Invocation Of The Demon Other
(Hoarse! Records)
Non vi farò il solito elenco di blues man del passato. È solo odioso chiamarli blues man. Il londinese Honkeyfinger è uno che ha afferrato lo spirito di quei leggendari precursori che si dividevano in chi lo faceva in maniera rurale e chi urbana. Un rag campagnolo e uno metropolitano. Questi sono i dettagli, la sostanza era la stessa. Chitarra in braccio, piede a tenere il tempo, punk nell’animo e la banda è fatta. Honkey fa del primitivismo la sua pecularità. Il blues strimpellato con mano pesante è la lingua con cui terrorizzare. Una lapsteel che lancia fulmini sonici e fuzati, pesanti e colmi di feedback e la sua arma. L’armonica non fa da contorno, ma è una valida alleata, protagonista anch’essa come in Parchman Farm, cover di Bukka White, o in True Believers, da puro delirio, e Boss Honk. È con Got This Rage, un devastante assalto atomico, che emerge l’honkey più oscuro. Il one man band sperimenta con Cobra e si libera di dosso della semplicistica definizione di blues punk o simile. Fine Things è un viaggio allucinato nel mezzo dei deserti di tutto il mondo. Margarine Man (Pt. 2) e Running on Empty sono un libero blues jazzato con cui gli aborigeni svolgono i loro rituali. Torna a incuterci timore Burning Skull Blues e Honkey ci abbandona nel vuoto con Subaquatic Homesick Blues. Il blues non è un semplice musicista che fa i suoi assoli di chitarra seduto su una sedia, è libera interpretazione con un quintale di angoscia e rabbia sulla schiena. (Tommaso Floris)
Per contatti: www.honkeyfinger.com