(Pompeii Recordings)
Il Marzo di Zapotec è l’ultima fatica discografica di Zach Condon, giovanissimo poli-strumentista del New Mexico. All’età di 17 anni, Zach si reca in Francia per 4 mesi e scopre la musica balcanica, innamorandosi perdutamente delle sonorità funebre. Tornato negli States si mette al lavoro sotto lo pseudonimo di “Real People” che si trasformerà in Beirut dopo una sordida uscita solista. La contaminazione etnica è una fiamma che non smette di bruciare e smuove il percorso dell’artista in impervie contaminazioni melodiche. Basti pensare che la prima parte di “March of Zapotec” è stata registrata con una banda di 19 elementi, solitamente impiegata per le cerimonie funebri nella zona di Oaxaca, nel profondo Mexico. Se ascoltate un brano come “On A Bayonet” sarà davvero difficile non percepire l’atmosfera rarefatta dell’estremo saluto…l’utima lacrima che rimane a mezz’aria sospesa dalle incalzanti “The Shrew”. A voler fare un paragone spontaneo e superficiale, sembrano far capolino i DeVotchKa, sedati di lexotan e narcotizzati in assetto, rigorosamente, acustico. La seconda parte del disco inizia con il racconto di una notte peccaminosa nei bassifondi di Marsiglia. L’espediente pruriginoso serve ad introdurre ad atmosfere d’elettronica minimale alla My Computer, Cornelius, ribaltando totalmente le prospettive d’ascolto. In questa parte del lavoro Beirut vorrebbe essere “sperimentale” ma si tuffa di testa nella banalità di strutture armoniche che si sgretolano con il passare degli ascolti. Regge l’uso splendido della voce: profonda ed aliena, saturante e al contempo gelida. Beirut mette in scena ossimori melodici che solo i grandi artisti riescono a non far sembrare tremende pagliacciate. Questo disco non è nient’altro che la foto di un artista al bivio tra il manierismo balcanico e la sua dote canora ai servigi della tecnologia. Forse unendo gli opposti ne sarebbe uscito un lavoro più interessante…ma Beirut, qui, fa scegliere a voi.
(Tum)