Il Musicdrome di Via Paravia, a Milano, accoglie gremito uno dei concerti più interessanti di quest’autunno caldo: The Notwist. La band ritorna ad issare lo storico vessillo dopo anni passati a celare le proprie identità sonoro sotto molteplici nomignoli, per citarne alcuni Potawatomi, Ms. John Soda, 13 & God, Tied + Tickled Trio.
La band tedesca presenta un assetto sonoro che riconcilia gli irriducibili dell’Alt-rock ai nerd honoris causa dell’elettronica di culto, come dimostra il pubblico quanto mai eterogeneo presente in sala.
Un’abbondante ora e mezza durante la quale la band tedesca ha spaziato dai successi degli esordi (è del ‘90 il loro primo disco, omonimo) fino ad arrivare ai brani del sesto, e finora ultimo, album “The devil, You + Me”. L’alchemia prende corpo sonoro grazie ad una cura ossessiva per i dettagli ed un’arguta voglia di progredire in un percorso di ricerca personalissimo.
Il quintetto bavarese riesce a legare ed amalgamare alla perfezione i pezzi di matrice rock dei primi anni novanta con le bizzarrie elettro più recenti, pesantemente influenzati e per certi versi capostipiti dall’elettronica mitteleuropea degli ultimi anni.
Le luci di scena si accendono alle 22.30, quando sul filo della prima serata decolla una “Boneless” eterea e zuccherina, come un acquarello che stempera l’ascoltatore in caleidoscopici arpeggi.
I fratelli Archer sono in gran spolvero ma a catturare l’attenzione è Martin Gretschmann, eclettico dj/programmer che stupisce per la capacità di elaborare e campionare i suoni “on fly” ed inserirsi con grande efficacia e pertinenza di suono nel groove risucchiante creato dalla band.
Ed è subito spazio per l’effetto amarcord di “Pick up the phone”, un brano da amare senza riserve dalle prime note, apripista per la fusione tra il pop elettronico e la drum’n’bass di ricerca. Incredibile la sensazione hic et nunc che si genera a sentire riprodurre live il moto primario che generò quell’onda di pulsione artistica tutt’oggi cavalcata da artisti come Erlend Oye e To Rococo Rot. Si continua a navigare nelle acque sonore di Neon Golden con “This Room”, rielaborata con pregevole maestria e farcita di un crescendo che farebbe rabbrividire qualsiasi cervelloide del post rock di grido.
A calmare la pressione ci pensa “Sleep”, una ninnananna per antonomasia tratta dall’ultimo lavoro.
L’esecuzione della stratosferica “Gloomy Planets” agganciata alla storica title-track “Neon-Golden”infiamma nuovamente il pubblico fino a farlo dondolare a proprio piacimento con “Gravity”.
Dopo ben due encore, il concerto si chiude sulle note di quella “Chemicals”, attaccata al tormentone strappalacrime “Consequence”, al termine della quali la band svanisce per riapparire pronta a fronteggiare i tenaci fan che stentano ad abbandonare il locale…
…scorgiamo da lontano i nostri anti-eroi posare per stantie foto di rito, firmare goffamente autografi ad occhialuti gonzoidi, nonché smontare la propria copiosa strumentazione, senza sbuffare.
Working Class indie-heroes!
(Tum)