Hayes Carll – Milano 30/09/2008

“Ladies & Gentlemen, please welcome all the way from Austin Texas, Hayes Carll and golden ghost drugs!”.
Ci pensa da solo a presentarsi: Hayes Carll, la giovane rincarnazione della pura tradizione americana declinata in 7 note.
Dopo aver affrontato due date in misconosciuti anfratti della Lombardia, tra cui una piccola chiesetta di Perego ed un teatrino a Casnigo nella bergamasca, il biondo sbarca nel piccolo club milanese di Via Ripamonti. L’occasione è più che mai ghiotta: la presentazione di “Trouble in Mind”, una manciata di ricordi-canzoni pubblicati dal colosso country Lost Highway, terra franca per redivivi del rock d’altri tempi quali Costello, Lucinda Williams e giovani talenti neo-hippie come Frankenreiter.
La musica di Hayes possiede un punto di forza schiacciante: l’autenticità.
Il giovane detiene la capacità di evocare i mostri sacri della tradizione, pur mantenendosi al centro di un immaginario personalissimo ed accattivante. E così il set decolla con una “Wild as a Turkey” raddoppiata nella battitura come declama la tradizione dello Speed of Sound à la moda di J. R. Cash. Il tutto sfocia nello shuffle di “Girl Downtown”, una magnetica cantilena sulle complicazioni sentimentali di cui è intrisa la vita del girovago cantautore.
Carll, spogliato della sezione ritmica ma accompagnato da un valido polistrumentista, si gioca sulle prime battute il singolo radiofonico “It’s a Shame”, e senza fiato scivola giù con “I Got a Gig”, in basso nelle memorie viscerali di Christal Beach, il bar che gli ha concesso la prima data e che ha dato rifugio a tutti i personaggi che popolano le sue canzoni.
Il cantante prende un lungo respiro e ci comunica sommessamente che il posto è stato dilaniato dall’uragano Ike, come se la storia si incarnasse nel romanzesco passato remoto della memoria.
La giovane promessa tira dritto e non sembra concedersi a parlottamenti tra un brano e l’altro, lascia che siano le sue canzoni a far da specchio al suo stato emotivo.
E così “Arkansas Blues” e “Beaumont” svelano due rifugi dell’autore nella struggente baruffa tra sé e il Whiskey, pizzicando gli accordi e lasciandoli ansimare al pallore della luna.
Nelle ultime battute segnaliamo l’energica “Drunken Poet’s Dream” ed un bis flemmatico in solitaria che cassa ogni ulteriore entusiasmo del pubblico.

(Tum)