Occhio pallato fisso sul ciottolato di Toulose, io! privato di ogni ragion d’essere spazio-temporale, non mi lascio scappare l’opportunità di fare una capatina al tempio locale indie: Le Bikini. Un grande cubo insonorizzato ad hoc ospita 300 anime votate a divinità quattrocchi di bizzarra entità sessuale. Eccomi allo slalom speciale tra ciuffi chini emo-boys e inglesacce dalle caviglie di piombo (bonze di birraccia, come chiama lo stereotipo busty uk). Mi procuro un capogiro davanti alle bigliettaia del locale Rubriko, inutile dire che la peggior delusione della serata la riceverò dagli sguardi attoniti dei miei amici alla sola vista del flyer che capeggia la postazione bigliettifera. Gli WHY?, parte del collettivo cLOUDDEAD, indie- band diamante della rapster label Anticon, presentano live il loro quarto lavoro: Alopecia. Nell’attesa ci tocca un doppio set di gruppi spalla. Dapprima è il turno di Bogart & the Addictives, un trio giovinastro che maneggia un glitterato punk-funk in pieno stile PiG Mag. Tempo un paio di birracce ed è il turno dei metafisici Angil + hiddntracks, definiti da qualche italiota miscredente: i Radiohead dei senzatetto. Propongono, invece, un’alternative rock pavementiano con sfumature jazzy (Sea & the Cake) e delicati balance vocali tra il cantante leader Mickaël Mottet aka Angil e la corrucciata violoncellista Géraldine Devillières. Curioso ed interessante saperli a zonzo nelle bettolacce di Francia a proporre l’intero Wowee Zowee. Tempo 20 minuti e gli Why? calcano il palco. Un tripudio di magie sonore tra looser rap e new wave apparentemente privo di ogni forma semantica ma denso di suoni bizzarri e al contempo difficilmente fruibili da un orecchio superficiale. Inusuale set che vede il cantante destreggiarsi in un cuneo tra timpano e maracas, alle sue spalle un bassista/chitarrista perforante. Alla sua sinistra una tastiera anologica pulsante armonie monofoniche incisive e sleali, alla sua destra il vero protagonista della serata il batterista. Un drum-set essenziale e stupefacente integra uno xilophono incastonato sopra la gran-cassa. Percussioni violente alternate a carezze misericordiose attribuiscono 5 stelle lusso alla parte ritmica . Il suono che la band estrae dal cilindro è a dir poco sbalorditivo. Il white rap alla Beasty Boys di “Hello Nasty”, rivisitato con il piglio sperimentale di chi ha la consapevolezza che il rock è alla deriva. Si inizia con una “Song of the sad assasin” così alienante da lasciare a bocca aperta l’intera platea. Senza batter ciglio il live incede tra sketch non-sense e canzoni stupende. Su tutte segnaliamo “The Hollows” cantata a gran voce da tutto il pubblico e Good Friday con un ritornello catchy da anti-classifica.
Un ora emmezza di concerto e poi tutti sul dance-floor a bordo piscina, tutti tranne me. Saluti da To Loose!
(Tum)