Verso febbraio una mia amica mi fa: “Oh King Khan deve venire a Roma! In aprile!!!” e io: “Cosaaaa???!!!”. Goduria personale, nonostante fossi ancora incredulo. Poi finalmente arriva la conferma del tour italiano. È vero, ci becchiamo King Khan, il re Khan, un mito del garage odierno planetario! Per nostra sfiga non c’è Bbq stavolta, ma gli Shrines, quindi soul a valanga, James Brown, voodoo, elogio della follia, templi e santuari, sacrifici umani. King Khan continua ininterrottamente a fare dischi a destra e a manca che spaccano il culo, vedi Three Hairs, Mr. Supernatural, quelli con Bbq e ancora Cocobeurre con la sorellina Coco, Oily Chi e Choyce per un onirico garage-folk, e l’ultimo, nuovamente con gli Shrines, What Is?!. Come ci si aspettava da dei matti furiosi, il re e la sua band infiammano il pubblico con un lunghissimo live delirante che offre un menù succulento a base di ye-ye, free-jazz che da San Ra arriva fino agli Stooges, trance angosciose strappate ai Velvet. Ovviamente non mancano gli ingredienti cari al nostro, r&b su tutta la matassa. È una festa, non c’è altro modo di definirla. King Khan scende dal palco più volte per ballare e scherzare con la folla letteralmente impazzita, salva un giovane non troppo in forma per via dell’alcol che sta per essere sbattuto fuori dal club, interagisce continuamente con gli astanti. È instancabile, una macchina che sprizza pura linfa vitale da tutti i pori. Fa divertire, ma soprattutto si diverte in prima persona, ed è evidente tutta la passione che ci mette in quello che fa. Come fare a non adolarlo?! Noi vogliamo che sia il nostro re e siamo pronti a trasformarci in vittime sacrificali per lui in nome di una festa che stasera ci ha investiti come fosse un tir.
(Tommaso Floris)