Premessa:
”Noi siamo gli Okkervil River da Austin, Texas, e siamo qui per suonare Rock’n’Roll American style”.
Promessa.
Con queste parole, alle 23:00 spaccate, Will Sheff, cantante e mente del gruppo, accende le luci sul palco e presenta la band ad una sala piena come se attendesse la serata da tempo.
Sono in sei, giacche e camicie non dicono molto di loro, ma sono slacciate come la musica che suonano. Nonostante abbiano pubblicato da pochi mesi un nuovo lavoro intitolato The Stage Names, che ha riscosso un grande successo di critica e pubblico, confidano in un repertorio obbiettivamente compatto ed omogeneo e decidono di iniziare il concerto con una canzone presa dal passato. La partenza è di quelle che ti invitano ad entrare e a metterti comodo, “fa come se stessi a casa tua”. Questa è la loro forza: canzoni semplici come il soul nero da cui prendono a piene mani, robuste e oneste come le loro chitarre suonano, sincere e sanguigne come le bistecche che li hanno tirati su laggiù nel Texas. Suonate con poca raffinatezza o precisione, ma con tanta foga da crederci sul serio. Sul palco una band piuttosto seria e formale, come se ad avere la spina attaccata fosse solo il frontman, che con l’acustica si muove nervoso e non sa trattenere il sorriso quando il pubblico acclama perché riconosce gli accordi.
Solo una manciata di brani quando la corrente va via una prima volta, per pochi secondi, e, a dimostrazione di un’esperienza fatta live su live, sanno come togliersi d’impaccio sfruttando a loro favore l’inconveniente.
Tempo di finire il pezzo ed è di nuovo black out.
Stavolta sembra non voler terminare e allora lo spettacolo si trasforma in un set acustico in cui il cantante, generoso, tenta di arrivare fino ai più lontani accompagnando con la chitarra la voce urlata non più di quanto non facesse prima davanti al microfono acceso.
Poi solo accompagnato dal battito delle mani.
Poi il resto della banda(non ci potrebbe essere termine più adatto), tira fuori fisarmonica, mandolino, tromba e percussioni e lo segue fino alla ricomparsa della luce.
Ed è allora che lo show inizia a crescere, sempre alternandosi tra brani vecchi e nuovi, mai cadendo o cedendo un centimetro, fino a consegnarci una Girl in Port versione Reginetta del Ballo. Con tacchi e trucco per esaltare curve che quando l’avevamo conosciuta ci teneva a nascondere.
Il finale viene affidato ad uno swing che ci ricorda il motivo per cui noi e loro siamo qui, la loro promessa. Perché le ragazze nei porti, abituate con i marinai, magari a queste cose non ci credono più da tempo.
(Valerio Piacenti)