Klaxons – Koln 15/11/2007@Gloria

Eccomi di nuovo qua, tra le mani il biglietto dei Klaxons, girone di ritorno. Da marzo, quando li vidi a Bologna non è cambiato niente. L’album è sempre quello, Myths of the near future. Solo che nel frattempo la NuRave è entrata di diritto nella categoria “fenomeno di costume 2007”, e tutti e dico tutti ne hanno scritto e straparlato, persino D di Repubblica gli ha dedicato due pagine centrali ad agosto quando noialtri si era già al decimo ascolto dell’Ep fin dal dicembre 2006 (tiriamocela per questo, su).

La location stavolta fa la differenza. Il club si chiama Gloria, in Apostelnstraße 11, Köln. Sono sinceramente incuriosita di osservare la gioventù indie-rock tedesca. In realtà la domanda precisa è “se esiste”. E comunque se la devo proprio dire tutta non me ne importa niente. Fuori dal locale mi aspettano gli altri accompagnatori della serata, le solite facce multiculturali da pubblicità della Benetton e prima del concerto un salto al Kiosk di fronte ci scappa. Un litro di birra e mezzo dopo entriamo nel locale. Mi guardo in giro: a destra un tizio con maglietta d’ordinanza degli Strokes, a sinistra un altro tizio con giacchettina e spillette indie. Quando si dice originalità.

Mi posiziono in transenna sotto la tastiera, ed aspetto l’entré dei Neil Children, la band di spalla. Di costoro avevo dato un’occhiata molto veloce al myspace e mi erano sembrati tragicamente simili agli Horrors. Quando entrano rettifico: sono identici. Capello ultracotonato, ma voce meno rauca e sound meno isterico. Finiscono la loro interessantissima esibizione e io sbadiglio nell’impazienza di risentire i Klaxons. Avranno anche stasera la faccia scazzata e ciabattante che avevano a Bologna? Nel frattempo il locale si riempie e i glow stick fanno capolino tra il pubblico.

Entrano i nostri e già qui subito il primo choc della serata. Jamie il bassista ha messo panza e doppio mento, James alla tastiera sembra più sbarbo del solito, Simon alla chitarra ha pure lui il capello fonato alla Horrors (basta vi prego!) e Steffan…eh…che ve lo dico a fare. Quasi rimpiango la giacchetta da benzinaio esibita a Bologna. Iniziano con Atlantis to Interzone, schiaffano nel mezzo Magick (la loro canzone migliore in assoluto fin’ora), e concludono con Golden Skans. Trattasi di distribuzione chirurgica dei singoli di successo nell’arco del concerto. Il pubblico poga, e la voglia di fluorescenza è appagata tant’è vero che a gran voce si richiede il bis. E i quattro ci regalano l’ultima canzone del cd che rimaneva da suonare cioè Isle of her, sparata a tutto volume.

Infine dopo ben 38 minuti esatti il concerto finisce. Ok, forse i minuti erano 43. Cosa dire? In fondo le canzoni dell’album sono 11. E sì che hanno pure messo pause (ripeto pause!) da 4 minuti tra l’una e l’altra, dove non facevano niente, stavano lì immobili ad aspettare che il roadie gli cambiasse la chitarra e lubrificasse il synth.

Qui signori c’è un problema. Ed il problema è che comincia a sentirsi il bisogno di qualcosa di nuovo per davvero e non parlo della fottuta next big thing. O qualcuno trova il sound del nuovo millennio, oppure bisogna arrendersi alla realtà e constatare che tutto è già stato scritto e suonato e quindi l’unica via è il revival de revival.

Per concludere, che ormai partendo da una recensione sto arrivando alla risoluzione dei problemi dell’universo, i Klaxons suoneranno a Roma il 20 novembre al Qube. Andateci e avrete qualcosa su cui scaricare i vostri problemi nei prossimi giorni.
(Laura Fontana)