Budapest è come un giano bifronte. Una facciata pare colonizzata dai famosi marchi occidentali, neon e cartelloni di grandi dimensioni sovrastano il cuore della città e una marea di homeless vagano in cerca di un misero obolo o di un posto caldo nel quale sistemarsi. Un’altra ancora è quella turistica dei castelli, delle chiese e dei parchi. C’è ne infine un ultima in questo quadro così riduttivo, ed è lo Sziget Festival. Nell’isola Margit appollaiata sul Danubio si svolge oramai da anni uno dei festival più importanti d’Europa. Immaginatevi un paese dei balocchi ideale. Campeggio per una settimana con giovani che provengono da ogni parte del mondo. Concerti sin dal pomeriggio fino a tarda notte. Dj set di tutti i tipi. Qualsiasi tipo di sport, da quelli più classici a quelli estremi. E’ così che una volta dentro il festival hai voglia di sbattere la testa un paio di volte per realizzare se sia sogno o meno. Dopo aver effettuato un controllo attento della zona con gente che volava a destra e a manca ci siamo posizionati di fronte al palco in attesa dei live. Gli Eagles of Death Metal sono i primi a sfidare la folla bruciando il palco si da subito con fendenti duri e pesanti. Ma quello che vogliamo da loro è quel rock’n roll che fa il verso a Buddy Holly, che sembra addirittura pigliarlo per i fondelli. Loro non si fanno pregare e sfilano davanti ad una bolgia impazzita 1990 e I Want You so Bad. Poi tra movenze che riecheggiano quelle di un Jagger di quarant’anni fa ed elogi vari alle femmine ungheresi ci ronzano nelle orecchie Bad Dream Mama e Kiss the Devil. Nel mezzo c’è anche il tempo di spingerci due super classici come Stuck in the Metal With You e Brown Sugar. Sto pomeriggio potrebbe anche concludersi in questo modo con noi che ci sbollentiamo nelle piscine, ma è il turno di Juliette e dei suoi Licks. Spunta fuori un ondata di teenager con tanto di piume in testa. La loro paladina fa il suo ingresso strisciando, afferra il microfono come se stesse impugnando un ascia e si sbatacchia per tutto lo stage. Buona performance, ottimi musicisti e sufficiente dose di grinta. Saranno le canzoni a non incidere, sarà che sono stati preceduti da dei marci che vivono per il rock’n roll ’55 e che lo incarnano con maestria, il concerto in conclusione risulta noioso. Si salvano sul finale con la percussione generale della batteria, un bello spettacolino che appare come un clichè a cui la band è abituata. Il pubblico approva e rimane soddisfatto. Noi attendiamo i Killers senza tanta frenesia. Un altro giro di birre annacquate. I Killers salgono sul palchetto pieno di lucette e ghirigori, suonano i loro singoli con il tripudio della folla e ci martellano per circa una mezz’oretta con pezzi insulsi e piatti. Dopo di che s’accorgono che l’attenzione da parte del pubblico è calata, quindi pensano bene di risuonare un ultima volta il primo singolo dell’ultimo album prima di uscire, riuscendo almeno a salvare la faccia. Secondo la scaletta avrebbe dovuto esibirsi anche il signor Cornell, ma questo, per nostra fortuna, ci ha fatto il favore di assentarsi.
(Tommaso Floris)