I concerti di Joan Wasser e band sono la storia di un tacito accordo. Sebbene gli accordi, quelli “musicalmente” intesi, siano tutt’altro che silenti, fino a toccare note decisamente punk in alcuni pezzi performati dai tre con un’energia che lascia il pubblico ben più che soddisfatto. Il pubblico, Joan lo coinvolge con la disinvoltura di chi calca le scene da tempi immemori e con la spregiudicata e dissacrante ironia di chi è all’inizio e sente di poter osare tutto.
In effetti, la polistrumentista e cantante americana è una via di mezzo tra queste due tipologie di artista. Nomi prestigiosi (Rufus Wainwright, Antony and the Johnsons, solo per citarne due e farne capire la caratura) nella lista degli artisti per i quali ha suonato, una carriera appena all’inizio come cantante e band a sé.
Il disco d’esordio, Real Life, non ancora pubblicato negli USA, ha ricevuto critiche entusiastiche in tutta Europa, come anche il tour, che l’ha portata a Roma per la terza volta, dopo l’apertura dei concerti di Battiato un’estate fa e la tappa all’Auditorium lo scorso dicembre.
Conquistato un buon numero di fedelissimi, Joan ora sa di poterci giocare, e non perde occasione per farlo, divertendosi e divertendo. Chi ha già assistito ad un suo concerto se lo aspetta, e anzi lo aspetta come se non potesse più fare a meno delle bizzarrie dell’artista, e si compiace nel notare come progressivamente ella riesca a coinvolgere anche chi la vede per la prima volta ed è inizialmente un po’ spiazzato da quel suo parlare biascicato e quel improvviso prorompere di risate quantomeno contagiose.
Ogni respiro che Joan fa, volontariamente, risuonare forte attraverso l’amplificazione, sembra voglia rubarlo ai presenti, e per passarla liscia fa finta di nulla, con adorabile indolenza, come se non si accorgesse di avere davanti espressioni rapite e trepidanti in attesa del prossimo pezzo. Con i due componenti della band, Ben Perowsky (batteria) e Rainy Orteca (basso), riesce a costruire architetture sonore elaborate e d’impatto; con il pianoforte e la voce riesce nella magia di sospendere il tempo (un po’ come la videocamera sospesa di Infascelli che la riprendeva mentre suonava la title track Real Life), insomma si susseguono momenti di ilarità a base di caramelle per la gola e battute di spirito e momenti di raccoglimento in cui il pubblico sembra pensare “a una che canta così perdoneremmo qualsiasi cosa”.
Ma Joan ha poco da farsi perdonare, se non l’imbarazzo che provoca in chi, come me in questo momento, si ritrova a pensare “Quanto è brava, maledetto genio”. E l’imbarazzo dato dalla tentazione di definire “classici” dei pezzi (Eternal Flame, Christobel, The Ride) contenuti in un album d’esordio. In definitiva, imbarazzantemente brava, e mi scuso per l’evidente assenza di oggettività, ma è tutta colpa sua.
(Carla Soloperto)