Non capita spesso d’assistere a concerti di questa portata. I Deerhoof da una parte e Bonnie Prince Billy dall’altra. La band non ha molto a che fare con il principe, musicalmente parlando, ma forse proprio per questo a noi non ci poteva andare meglio di così. Arrivo che il live della band di San Francisco è appena iniziato. I Deerhoof hanno alle spalle una carriera decennale e sanno perfettamente come tenere il palco. La loro performance appare tesa come se fossero sull’orlo di un cratere. I tre evitano di stare a bighellonare e macinano riff taglienti e frastagliati, arrivando addirittura a momenti in cui si sfiora il doom e la psichedelia. Ritmi articolati e stoppati più volte s’alternano ad altri in cui la voce di Satomi Matsuzaki abbraccia e insegue delle melodie dal sapore pop. La semplicità si stringe a delle strutture più complesse giungendo in non poche occasioni ad un rock bizzarro come accade con Panda Panda Panda accolta dal pubblico con entusiasmo. Sudore, sudore e sudore. È come se i Deerhoof avessero il tempo contato e fosse la loro ultima esibizione. La voglia di suonare e divertirsi emerge fresca e straripante e sembrano non appagati quando devono lasciare il posto al principe. Inutile stare a raccontarvi il passato di Will Oldham, più o meno tutti conoscono il grande cantautore e non sarò di certo io a menarvela su quello che ha o non ha fatto. Entra in silenzio ed inizia a suonare accompagnato da un giovanissimo batterista, appare in gran forma. Passa in rassegna i suoi album e tira fuori dei pezzi immortali come I See a Darkness e Love Comes to Me. Tutti dal primo all’ultimo nel club romano pendono dalle sue labbra, un magnetismo irresistibile ci ha ghermito e legati profondamente alla sua voce, ai suoi stanchi movimenti per tutta la durata del concerto. Will Oldham discende direttamente da cantori come Whitman ed è una delle poche personalità vere che l’America ha espresso nella sua breve esistenza. In Oldham tutto il mondo americano prende vita, il passato, il futuro, la nascita e la morte. Oggi il futuro sembra appartenere alla macchina, ai robot. Oldham è il poeta del corpo e dell’anima. Forse l’ultimo poeta, uno spirito libero e sano. In Bonnie Prince ci trovo la violenza dei profeti, l’oscenità che è estasi, la saggezza del fanatico. In lui dobbiamo cercare frammenti, schegge, tutto ciò che abbia materia in sé, capace di resuscitare corpo e anima. Pochi e semplicissimi accordi, qualche scambio di battute con il pubblico e dei sorsi di vino bianco. Un’ora e mezza di musica sofferta che neanche il caldo è riuscito a non farci godere appieno.
Con il principe stasera abbiamo compiuto un giro in una storia extratemporale, in un assoluto di tempo e di spazio dove non esiste uomo, bestia o vegetale, dove si impazzisce di solitudine, con una lingua che è fatta solo di parole, parole che hanno il potere di smuovere montagne dentro di noi. Solo c’è ne fossero di Will Oldham…
(Tommaso Floris)