Lo scorso inverno qualcuno molto in alto deve aver deciso di esaudire i miei desideri e fra le altre cose mi ha regalato tanti bei live di molti dei gruppi che stavo ascoltando nei freddi mesi di fine anno. Non ho fatto in tempo a realizzare che Apologies To The Queen Mary fosse un capolavoro (leggi la recensione del cd), che ho scoperto ci sarebbe stata questa data, condivisa con i per me ancora poco noti We Are Scientists, come poteva andar meglio? Vado incontro al mio destino in un Circolo per nulla affollato e non molto caloroso, entrano sul palco i Wolf Parade e il primo applauso si sentirà solo a canzone ultimata. Spencer Krug, il chitarrista-cantante, esordisce così: “Scusateci ma siamo alla fine di un tour molto lungo, tenteremo di non fare troppo schifo!” e gli fa eco l’altra voce nonché tastierista Dan Boeckner “Spero di non morire prima della fine del concerto, credo di avere la febbre…”, due esternazioni che la dicono lunga su quello che sarà l’andamento della loro esibizione, confusa, tiratissima e allo stremo delle forze. Le atmosfere evocative dell’album si perdono completamente in tutta la prima metà del concerto, ma non a causa delle poche forze dei cantanti (poche, ma profuse nella loro totalità e con tutto il cuore), ma della fretta del batterista, che tiene il tempo dei primi cinque pezzi ad una velocità esagerata, snaturandoli di brutto e facendo fare una fatica bestiale al resto della band per stargli dietro! Imperdonabile. Con You Are a Runner And I Am My Father’s Son, le cose cominciano a migliorare, il gruppo ritrova il giusto feeling, riuscendo finalmente ad emozionarmi in una lunga ed ipnotica Dinner Bells, che resta il momento più riuscito del concerto, ormai prossimo alla fine. Se ne vanno e resto con una delusione non amara, consapevole delle potenzialità di un loro live, non dimostrate appieno a causa di defezioni fisiche (non ho mai visto un essere umano sudare tanto quanto ha sudato Dan Boeckner, neanche alla maratona delle Olimpiadi), ma poco importa, è stata un’esibizione affatto tecnica e di sola anima, e la gente chiede il bis quando lasciano il palco.
Niente tempo per i bis perché i We Are Scientists sono già pronti ad esibirsi, tanto nerd quanto ineccepibili dal punto di vista dell’esecuzione dei loro brani. Il loro sound compatto e potente si affida completamente a Keith Murray, talentuoso cantante-chitarrista che fa praticamente tutto: chitarra d’accompagnamento, assoli, atmosfera, riuscendo persino a cantare egregiamente e ad agitarsi in maniera stilosa. Le canzoni dell’album ci sono tutte, coinvolgenti al punto che le riesci a cantare già al secondo ritornello, in più una cover, Be My Baby delle Ronettes, che fa dondolare il pubblico come una massa di stupidi innamorati (me per primo). Finisce anche il loro concerto che i tre hanno veramente spaccato, canzoni perfette e potenti, coretti e virtuosismi, ma nessuno a chiedere il bis.
(Emanuele Mancini)