Un martello pneumatico è la mia sveglia. Non sto scherzando, la mattina puntualmente alle 8:00 incomincia l’opera e contemporaneamente il mio travaglio, se s’aggiunge poi un concerto la notte precedente il quadro è completo: un iper mal di testa. Il duo danese dei Raveonettes ha proprio la faccia da bravi ragazzi, ma sopra il palco ci danno dentro alla grande innalzando un muro di suono sonico e altamente distorto, un vero e proprio frastuono fuzz. I due (Sun Rose Wagner e l’inseparabile compagna, Sharin Foo) hanno completamente capovolto il registro caratteristico dei precedenti album, da un suono minimale hanno fatto inversione di marcia prediligendo un sound omogeneo, caotico e pletorico. Il circolo è al completo e il pubblico freme in attesa della band della serata. Aprono il giro di danze i “Montecristo”, gruppo composto da quattro romani che ha proposto un punk’n’roll insipido, insomma niente di speciale. Appena 15/20 minuti d’esibizione per poi lasciare spazio alla preparazione del palco per i danesi. Quasi un’ora di spostamenti e disposizioni, avanti e indietro da parte di un tecnico della band che pareva avere otto braccia. Tra la folla ha incominciato ha vociferare la voce che stesse per esplodere dalla fatica, ma ovviamente questo non è accaduto e abbiamo scampato il pericolo. È da sottolineare un’ attesa spasmodica, veramente interminabile. Dopo aver ascoltato per lo meno due dischi che cercavano d’assopire la noia, ecco che si decidono ad entrare, lui con camicia bianca e cravattino, pallido e magro, lei in mise nera, tipico angelo nordico. Sono in cinque sul palco e partono subito passando in rassegna i vari pezzi dei tre album sino ad oggi pubblicati, “Whip it on”, “Chain gang of love” e l’ultimo e più fortunato “Pretty in black”. La band fa saltare e dimenare tutti tra il pubblico scegliendo sonorità differenti da quelle delle origini, un suono completo che ha abbandonato il rigido sistema “three chords, three minutes song” a favore invece di pezzi meno ripetitivi e con svariate tonalità. Intendiamoci, nulla di sorprendente sul palco, i cinque si muovono bene, ma con troppa regolarità, come se tutto fosse studiato in partenza. Durante il live il singolo “love in a trashcan” e “attack of ghost riders” hanno scosso gli spettatori che tra l’altro non si sono scordati di porgere i complimenti, molto tradizionalmente, alla bellissima vichinga che ha ringraziato a suo modo: “A’ bona!”, “What fuck you say?!”. I Raveonettes hanno svolto il loro lavoro con precisione, senza concedersi sbavature. Il pubblico non è rimasto deluso sino a quando non si è reso conto che il bis non sarebbe stato concesso e che la serata era definitivamente conclusa, era insomma giunta l’ora di chiudere la bottega. Eh sì, Paganini non ripete. Strana gente ‘sti nordici…
(Tommaso Floris)