The Vines – Live At Rainbow, Milan 19/10/02 + Intervista

Partite dal presupposto che tutto quello che avete letto e sentito sui The Vines sia in realtà più vero di quanto ci si aspetti: Craig Nicholls è realmente, esasperatamente una frustrata, indomabile e arrabbiata rock star venuta dall’Australia. E’ antipatico, infantile, insolente, facile ai fuck off e forse perderà la voce tra qualche anno se continua a sputarla fuori come un mangiafuoco assassino.
Dopo circa una decina di redbull&coke il suo stato palesemente nevrotico ha dato il meglio di sé partendo con un Outtathaway tirata come la canterebbe Liam Gallagher. L’aria fredda del Rainbow inizia a scaldarsi, la scenografia del video si ripropone, i presenti si agitano tiepidamente. Nonostante qualche problema al microfono (e già le ire di Craig danno spettacolo) Autunm shade inizia e il buio del locale si veste di psichedelia.
Non tarda ad arrivare la sensazione che l’organico sul palco pecca in coordinamento; sembrano quattro musicisti ognuno estraneo nei confronti dell’altro: la figura di Craig pare destare un certo imbarazzo, tutt’altro che espressione e voce di un gruppo, Highly evolved risuona sguaiata e senza convinzione.
Melodie impeccabili circondano Homesick, la voce dondola tra la raucedine di Liam e quella di Kurt Cobain; difficile definire le ormai fantomatiche smorfie su quel viso d’angelo. La serietà dei suoi occhi nel suonare la chitarra fa impressione e forse dietro le disapprovazioni generali inizia a provocare un inusuale fascino. Che sia la riuscita rappresentazione di una rockstar costruita a tavolino è il sospetto predominante nei volti dei ritrosi e disincantati accorsi al Rainbow forse per noia, forse per biglietti gratis.
Dal vivo le note scorrono addirittura meglio del cd, questo è inequivocabile; la potenza lascia esterrefatti anche i disgustati dall’arroganza di Craig ai quali fuck off, apatiche groupies replicano tutto il tempo “I wanna fuck your dick”. Mary Jane sono 6 minuti di gorgheggi urlanti con inflessioni alla Sonic youth .
Cerco il coinvolgimento e ancora non arriva. Sotto una tale base grunge dove non puoi non agitarti, l’immobilità, forse contemplativa, accompagna più o meno tutti.
Fascino della musica? Forse è assistere ad un’esibizione contraddittoria, indefinibile e senza continuum proprio come il disco dei Vines, allo stesso tempo pieno di bellezza, di pezzi così riusciti da accontentare sia i fan garage che i romantici sixties.
Così dopo la ballad Mary Jane, il rock’n’roll torna a far ondeggiare le teste con una Ain’t no room in pieno stile Supergrass.
Get free arriva tutta d’un fiato come un ciclone e il fare di Craig mette di nuovo punti interrogativi su questi australiani malcapitati alle prese con un cantante psicopatico e sex simbol. Urla con rabbia e ti viene da pensare “se questa è musica” o grida di un condannato alla camicia di forza.
Un’accattivante versione slow di Ms Jackson prestata dagli Outkast, fa scendere un’inquieta calma sul palco e Craig ci concede l’unico thank you della serata.
La tempesta non tarda a scatenarsi con l’ultima inedita Fuck the world (ma guarda un po’): come ogni finto Cobain che si rispetti, la chitarra finisce in mille pezzi su amplificatori, i cavi vengono strappati via come fili di liquirizia, la batteria immolata come un trofeo è pronta per il lancio tra il pubblico… o forse no, ecco che va a scagliarsi con dolcezza sul palco. Craig se ne va toccandosi i capelli indemoniati con maniacale femminilità, the show is over anche se è troppo presto per andare a casa: lo sfogo s’è concluso con un pallonetto tiepido e forse scontato.
Non si esce esaltati come dentro Is this it?, resta il disagio, il senso strano di aver intravisto i Beatles che facevano capolino su Factory, li in quell’ipotetico bosco sulla copertina di Highly evolved , da cui non si riesce a capire se si è di fronte a un alba o a un tramonto.
Resta il fantasma inquietante e redivivo dei Nirvana, per fortuna solo un miraggio nella mente e nella penna di molti giornalisti in preda a mitismi esagerati. Lo spettro sembra più quello di rimanere coinvolti da certe asserzioni e lasciarsi prendere da rappresentazioni pirandelliane del personaggio (vero Craig ?)
Forse l‘impressione, una volta fuori il concerto, è stata quella di entrare in un bosco oscuro a tratti soleggiato, completamente soli e non volendo, con in testa l’immagine di un altro anacronistico angelo dalle ali bruciate.

Nonostante la fulminea sparizione dal palco del rainbow di milano, il bassista dei Vines, Patrick Mattews, (di certo più simpatico e disponibile del suo arrogante lead singer) si è intrattenuto in una piccola conversazione…il tutto in assoluta atmosfera cazzeggiona nel backstage animato dai newyorkesi Longwave, band supporto Vines per il tour europeo.

Allora, tutti spariti…sei l’unico nei paraggi…che è successo agli altri?
Bò…forse già in pullman…sinceramente dopo ogni show ogni volta non abbiamo nemmeno il tempo di riposarci, stasera si parte all’una per Parigi…e poi Craig stasera ha bevuto una dozzina di redbull&coke, è fuori del tutto, come avrai avuto modo di vedere insomma…

Com’è andato il concerto?
Non mi ha soddisfatto molto…l’aria stasera era strana, Craig non stava molto bene, non abbiamo dato il massimo. Insolito anche il pubblico…me li aspettavo molto più accesi gli italiani, senza offesa naturalmente..alcune serate vanno meglio si sa, in Germania e in Olanda è stato entusiasmante.

Non avreste potuto fare musica senza…
Uhm…Beatles, Nirvana, Beach boys, Kinks, Supergrass…tutti notano una somiglianza coi Nirvana, eppure c’è molto più sound Supergrass in noi…

“Vines, il futuro della musica rock”su NME e riviste varie…cosa hai provato?
Non ci ho fatto troppo caso…in Inghilterra ci sono band con un potenziale enorme, per non parlare di quelle uscite nell’ultimo anno. Hives, Strokes, BRMC, hanno avuto un successo velocissimo. Tutte sbattute in copertina e inneggiate come superstar.Far parte di un’ hype, è una cosa a cui è meglio non dare troppo ascolto…o diventerebbe un’ossessione! E io e Craig siamo già abbastanza ambiziosi…

Cosa ti piace e cosa non del successo?
Sono un tipo molto timido..quando la gente mi chiede autografi o si avvicina divento ancora più timido. Ma è il mio carattere, logicamente mi fa piacere… il successo non necessariamente equivale a ricchezza e diverso trattamento…il nostro scopo è fare dischi e venderli. Far parte di una grande label ti aiuta proprio a questo. Ambizione prettamente musicale la mia…

Spero di non averti intimidito troppo…ti lascio andare via, buon viaggio…
Oh, è stato un piacere… non mi pare di essere diventato rosso…oddio forse un po’, ma una ragazza che ”intervista” è sempre cooollll…
A.D.L (Star.sally@libero.it)